Si è saputo in queste ore che Magneti Marelli – società ceduta nel 2019 da Fca alla giapponese Calsonic Kansei Holdings, gruppo controllato dal fondo statunitense Kkr – ha annunciato ai sindacati italiani la sua volontà di aderire al Contratto collettivo nazionale del comparto metalmeccanico.
A oggi, Magneti Marelli continua a sottoscrivere il contratto specifico di lavoro ereditato da Fca, il famoso contratto di Pomigliano (2010) poi esteso all’intero gruppo Fiat prima della fusione con Chrysler, accordo a cui Stellantis continua ad aderire per quanto concerne l’occupazione nelle fabbriche italiane.
Ci si interroga in queste ore sui motivi che hanno portato Magneti Marelli a questa scelta e si leggono interpretazioni cariche di suggestione. Del resto, negli ultimi 15 anni di storia italiana, non esiste avvenimento economico più romanzato del caso Fiat (anche se Alitalia e Ilva tengono testa).
La realtà delle cose è molto semplice. Sul piano strettamente contrattuale, non vi è nessuna differenza tra il contratto in essere e il contratto a cui Magneti Marelli aderirà, ovvero il Ccnl metalmeccanico industria. Anche perché è chiaro che un’azienda come Magneti Marelli stipulerà un contratto aziendale che i sindacati di settore saranno ben contenti di firmare.
Il punto è che firmare il Ccnl metalmeccanico significa tornare dentro il perimetro confindustriale. Per una multinazionale straniera questo è tutt’altro che un aspetto secondario. Significa star dentro un sistema di regole e, anche, di protezioni e di relazioni che in caso di contenzioso con lavoratori e istituzioni è mediato.
Dopo il caso Fiat, vi sono state aziende che hanno scelto di costruire un loro contratto abbandonando il sistema associativo d’impresa, ritenendo che questo non costituisse alcun valore aggiunto. Si tratta di imprese prevalentemente italiane, la cui conoscenza del sistema Italia è per ovvie ragioni diversa dalla conoscenza che può averne un investitore straniero. Il quale, è disposto a pagare di più pur di ridurre le incertezze del suo investimento. Da questo punto di vista, il sistema confindustriale – nella fattispecie – è sicuramente un cuscinetto utile per la riduzione e la gestione del rischio.
Non vi è alcun superamento del contratto di Marchionne, nessuna vittoria ex post sulle scelte del manager italo-canadese. Anche perché le relazioni industriali non sono mai state il suo principale pensiero. La verità è che la vicenda Fiat nel 2010 aveva prodotto una patologia tale che rese inevitabile quella rottura. Ma questa è un’altra storia.
Twitter: @sabella_thinkin
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