La fiammata dei prezzi delle materie prime può ostacolare la ripartenza dell’economia. Bastano due dati per dare la misura della portata del fenomeno. A maggio, l’indice Fao relativo ai prodotti destinati all’alimentazione ha fatto registrare un aumento del 4,8% rispetto al mese precedente. E su base annuale l’incremento sfiora il 40%.
Parte da qui il grido di allarme lanciato da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura: “Prima la pandemia, con le conseguenti restrizioni alla mobilità, ha fatto abbassare i costi delle commodity, poi la ripresa ha causato una fiammata dei prezzi di queste materie prime, che potrebbe mettere a rischio la competitività di diversi settori produttivi, ostacolando così il processo di ripresa economica, così importante anche per il nostro Paese. Dai costi energetici alle materie plastiche, dal mais alla soia. Sarà solo una congiuntura causata riduzione dell’emergenza sanitaria e dalla conseguente ripartenza globale della produzione e degli scambi commerciali? Monitoreremo con attenzione la situazione che, però, sarà più chiara solo nei prossimi mesi. Intanto, dobbiamo sottolineare che un nuovo ciclo al rialzo dei prezzi ci preoccuperebbe, anche in considerazione dell’aumento registrato dall’indice Fao”.
Questo scenario potrebbe infatti portare a impattare sugli scontrini della spesa. “Se i prezzi continuano a salire – osserva Giansanti -, l’economia scende. Detto questo, gli squilibri dei mercati internazionali si riflettono, inevitabilmente, sulle situazioni di maggiore fragilità, come quelle del settore agroalimentare e zootecnico in particolare. Ma vorrei anche ricordare con orgoglio, che l’agricoltura non si è mai fermata, nemmeno nei periodi più duri dell’emergenza, riuscendo a garantire sempre sulle tavole italiane i magnifici e invidiati prodotti del nostro Made in Italy”.
Gli interventi necessari
Per capire dove condurrà la dinamica in atto servirà insomma tempo. Ma intanto si possono – e si devono – mettere in campo iniziative concrete. “Se aumenta il prezzo del mais e della soia, di cui siamo deficitari come prova il fatto che importiamo il 60% del nostro fabbisogno – afferma Giansanti – occorrerebbe, da un lato, un piano straordinario per l’aumento della produzione di cereali e proteine vegetali, al fine di ridurre la forte dipendenza dalle importazioni dai Paesi terzi, e dall’altro incentivare e valorizzare il consumo di prodotti italiani”.
All’estero, del resto, si stanno già muovendo in questa direzione. “Gli Stati Uniti, per esempio – sostiene Giansanti – hanno costituito una task force che, con una dotazione di 4 miliardi di dollari per i primi e più urgenti interventi, ha il compito di elaborare un programma di rafforzamento delle catene di produzione e approvvigionamento interno. E non è da meno la Federazione Russa, tra i principali esportatori mondiali di cereali: per frenare l’aumento dei prezzi interni per l’alimentazione, le autorità hanno annunciato misure di restrizione dell’export in funzione dell’andamento delle quotazioni sui mercati internazionali. In Cina, invece, prosegue l’immissione sul mercato di grano stoccato nella scorta strategica nazionale”.
E in Europa? “Nonostante siano in corso i negoziati per la prossima politica agricola comune (Pac) – nota Giansanti -, temi come la tenuta del potenziale produttivo europeo, la dinamica dei prezzi per l’alimentazione, le catene di produzione non sono stati, almeno finora, presi nella dovuta considerazione. E proprio da questo è partita la nostra richiesta di sostegno urgente sul fronte dei costi di produzione settore zootecnico. Che l’Unione europea non prenda iniziative – così come hanno fatto, invece, altri Paesi – non ha alcun senso. Occorre colmare subito questa lacuna nell’interesse dei consumatori, delle imprese agricole e della stessa Europa”.