Il ministro Matteo Piantedosi è intenzionato ad tirare dritto sui Cpr per migranti in Albania, dando seguito alle richieste avanzate dall'UE

Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi in una recentissima intervista rilasciata al Corriere ha parlato (per la seconda volta) della sempre più accesa questione dei Cpr aperti in Albania e pronti ad accogliere la prima tornata di migranti, bloccati da una decisione del tribunale civile di Roma che avrebbe aperto ad un nuovo scontro tra giudici e governo: proprio partendo da qui, il ministro ci tiene a mettere in chiaro che – dal suo punto di vista – non ci sarebbe stato alcun “attacco da parte del governo”; ma dal conto suo Matteo Piantedosi non vuole entrare nel merito delle polemiche, preferendo relegare il tutto alle “impugnazioni” giudiziarie già avanzate alla Cassazione.



“Il ricorso – spiega ancora Matteo Piantedosi al Corriere – sarà l’opportunità per sottoporre alla Suprema Corte una interpretazione univoca della normativa” che chiuda le porte a qualsiasi differente interpretazione da parte dei giudici ‘minori’; il tutto accompagnato dal necessario aggiornamento dell’elenco “dei paesi sicuri” – che sottolinea essere basato “su precisi parametri, nonché su informazioni acquisite da organizzazioni internazionali” – che darà un’ulteriore spinta alla “certezza applicativa” delle procedure di rimpatrio degli irregolari.



Matteo Piantedosi: “La presidente UE von del Leyen è d’accordo con il protocollo Italia-Albania”

Soffermandosi sulla criticata lista dei paesi sicuri, Matteo Piantedosi ci tiene anche a ricordare che si tratta di una precisa richiesta dell’Unione Europea che entro il giugno del 2026 varerà una “nuova regolamentazione” in merito con cui mira a rendere “obbligatorie le procedure accelerate alla frontiera“, definendo al contempo nuovi “criteri molto più diretti” per definire quali siano – concretamente – i paesi sicuri.

Occasione utile a Matteo Piantedosi per precisare anche che la stessa “presidente von der Leyen in una lettera ai capi di Stato e di governo” ha avanzato l’idea di “esplorare possibili strade [per] sviluppare hub di rimpatrio al di fuori dell’Ue”, citando anche il “protocollo Italia-Albania” come un’occasione per “trarre lezioni” sull’applicazione pratica del modello; chiudendo – infine – l’intervista con un rimando a chi chiede perché l’Albania e non (per esempio) la Tunisia e gli stati africani precisando che “per essere realizzati [i Cpr esteri] necessitano della disponibilità dei Paesi ospitanti“.