L'esame di Stato torna a essere esame di maturità e sposta l'accento dalla certificazione alla personalità dello studente
La differenza non è solo terminologica. Che il decreto legge 9 settembre 2025, n. 127 denomini “esame di maturità” la prova finale del percorso di studi di scuola superiore e non “esame di Stato” significa introdurre nel campo dell’istruzione pubblica (statale e non statale) il principio per cui la certificazione passa in secondo piano rispetto alla verifica della maturità dello studente.
Il testo del decreto, approvato dal Consiglio dei ministri, esprime lungo tutto il suo sviluppo questa linea, che non è solo un indirizzo politico di parte, ma la presa d’atto di una situazione sociale e culturale per cui la persona che esce dalla scuola superiore e desidera proseguire gli studi o entrare in un contesto lavorativo non può prescindere, è vero, dal possesso del titolo inteso come “bollinatura”, ma può tranquillamente prescinderne quanto alla fattispecie burocratica, dato che le verrà chiesto non se possiede il titolo, ma quali sono le sue competenze.
Ecco il passo del decreto che si riferisce a questa svolta: “L’esame di maturità … valuta il grado di maturazione personale, di autonomia e di responsabilità acquisito al termine del percorso di studio, anche tenuto conto dell’impegno dimostrato nell’ambito scolastico e in altre attività coerenti con il medesimo percorso di studio, in una prospettiva di sviluppo integrale della persona”.
Il titolo di studio inteso come fatidico “pezzo di carta” non ha più alcuna importanza in un contesto in cui si può arrivare al traguardo finale in tanti modi diversi (cinque anni, quattro anni, tre anni di scuola superiore), si è valutati da commissioni che dal Nord al Sud del Paese e alle isole applicano i criteri più disparati; chi intende frequentare corsi di laurea che prevedono il test di ingresso potrà sottoporsi alle prove in un arco di tempo che va da aprile (se non prima) a settembre.

Si capisce, in questa ottica, l’insistenza del ministro Valditara nell’accreditare il “nuovo” esame come prova in cui, come ha detto alla stampa, “si valuta il complesso grado di responsabilità e autonomia raggiunto dal maturando, che può essere desunto fra l’altro anche da azioni particolarmente meritevoli di natura extrascolastica. Insomma, vi è una valutazione a 360 gradi della maturazione dello studente”.
In concreto, l’esame consisterà di due prove scritte e di una interrogazione, precedute da tutto un corredo di documenti e attestazioni della maturazione delle competenze: crediti scolastici, scuola-lavoro, abilità digitali, insegnamenti opzionali, risultati dello scrutinio finale.
Insomma ci sarà la prova conclusiva, ma soprattutto avrà valore il “portfolio” dello studente. Affinché si realizzi l’obiettivo (ripetiamo: prova di maturità vs. certificazione) l’orale in un certo senso si snellisce: si rinuncia alla discussione sul “documento” che nessuno ha mai capito cosa fosse e ci si focalizza su quattro discipline scelte dal ministero entro il mese di gennaio.
Il presupposto di carattere culturale di una simile operazione è la concezione della scuola superiore come anticamera (o in termini più nobili “cantiere”) che avvia alla prosecuzione degli studi o al lavoro. Nel primo caso, è ovvio, la destinazione è l’università. Nel secondo caso la destinazione è la formazione-lavoro, per la quale sono stati predisposti, e sempre più interessano, a quanto pare, i percorsi 4+2 resi possibili dalla collaborazione tra scuola (che obbligatoriamente dovrà fornirli) e ITS Academy (Istituti tecnologici superiori).
“Ogni scuola – ha di recente ribadito il ministro – dovrà proporre almeno un corso, organizzato in collaborazione con ITS e imprese”. Più chiaro di così. Insomma è decretata guerra (ma non da oggi) ai NEET, cioè a quei giovani della fascia 15-29 anni che non studiano né lavorano e che, pare, in Italia seppure diminuiti sono ancora tanti. Oltre 2 milioni nel 2024 in Italia (15,2%), titolavano i giornali specialistici di un paio di mesi fa. Siamo secondo solo alla Romania. Il punto dolente è anche questo: uno specchio del disagio giovanile di cui l’esame di maturità, per tornare al dunque, è solo un passaggio. Non più tale da perderci il sonno, a quanto pare.
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