Due eventi che attirano l’attenzione della comunità scientifica internazionale trovano una singolare convergenza con quanto viene presentato nel programma scientifico che arricchisce la proposta del Meeting che inizia oggi a Rimini.
Il primo viene, manco a dirlo, dal Cern di Ginevra, e più precisamente da uno degli esperimenti dell’acceleratore LHC: i dati ora elaborati indicano che i rivelatori dell’esperimento ALICE nell’autunno del 2011 hanno raggiunto i 300 MeV, circa 4 mila miliardi di gradi centigradi nel punto di collisione di due ioni di piombo, stabilendo il record di temperatura mai misurata in laboratorio. È una misura che supera del 30% – anche se con un maggiore grado di incertezza – quella precedente registrata nel laboratorio statunitense di Brookeven. Si tratta di una temperatura 100.000 volte maggiore di quella presente all’interno del Sole e di una materia più densa di quella di una stella a neutroni.
In realtà, più che da Ginevra la notizia rimbalza da Washington dove è stata comunicata nei giorni scorsi durante uno dei circa 40 studi che l’esperimento ha presentato alla Conferenza “Quark Matter 2012”, dedicata alla materia esistente nell’Universo nei primi milionesimi di secondo dopo il Big Bang. La “Quark Matter” è una serie di conferenze, organizzate con cadenza di 18 mesi dal 1982, che radunano da tutto il mondo gli specialisti nella fisica degli ioni pesanti.
I fisici di ALICE hanno anche scoperto che a volte, alla fine della sua corsa attraverso il plasma, un pesantissimo quark charm incontra un anti-charm anti-quark: dallo scontro emergono particelle charm-anti-charm che costituiscono il “harmonium”. Questo può avvenire solo se le particelle giganti sono rallentate a velocità quasi nulla in corrispondenza alla agitazione termica del plasma. L’italiano Paolo Giubellino, spokesperson di ALICE, ha affermato che «con le nuove misurazioni previste per febbraio ci avvicineremo ancora i più alla conoscenza dello stato primordiale della materia, il plasma gluoni-quark».
Al Meeting di Rimini l’acceleratore LHC e le ricerche sull’infinitamente piccolo saranno le star della giornata conclusiva, quando Sergio Bertolucci e Lucio Rossi racconteranno l’avventura di questo anno straordinario che ha proiettato il Cern sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. L’appuntamento riminese non è nuovo a questi temi e forse molti ricorderanno la mostra dello scorso anno, dove alcuni componenti del tunnel a superconduttori del grande acceleratore e di alcuni esperimenti erano esposti e osservabili da vicino. E qualcuno ricorderà un pannello con lo schema del cosiddetto “modello standard” delle particelle, dove c’era un posto vuoto con un vistoso punto interrogativo; che oggi dovrebbe essere eliminato, perché indicava quel bosone di Higgs la cui esistenza ora è diventata ufficiale.
Di questa importante conferma parleranno Bertolucci e Rossi; anche se, hanno già preannunciato, non cancelleranno veramente il punto interrogativo ma si limiteranno a spostarlo un po’ più in avanti, verso un più affascinante “Mistero della materia” tutto da scoprire.
La seconda notizia di attualità riguarda un aspetto caratteristico dei nostri progenitori e di altri ominidi che hanno popolato la savana in epoche remote: parliamo delle abitudini alimentari che sono, come è evidente, specchio della condizioni ambientali e indizio di un cammino di evoluzione culturale.
Ne hanno parlato recentemente sia Nature che Scientifica American, riportando studi di diversi team di ricercatori che prospettano un ventaglio di ipotesi. C’è chi – come i ricercatori dell’Università di Witwatersrand (Johannesburg), dell’Ecole Normale Supérieure di Lione e dell’Università Paul Sabatier di Tolosa – ritiene che il genere Homo avesse già raggiunto il vertice della catena alimentare e godesse di un ricco apporto di proteine animali, ben superiore a quello del suo predecessore australopiteco. Lo si deduce dall’analisi dei denti fossili, studiati con l’ausilio di speciali tecniche laser che hanno permesso di testare piccolissime quantità di materiale fossile. Altri studiosi ritengono però che le proteine di origine animale potrebbero essere diverse da come spontaneamente le intendiamo oggi e potrebbero in buona parte essere costituite da insetti.
Al Meeting non si affronta un argomento così specifico ma la domanda sulle caratteristiche dell’uomo, su ciò che identifica la natura umana, attraversa alcuni incontri e una mostra. Si va dalla tavola rotonda di martedì con Michele Di Francesco, Giancarlo Cesana e Andrea Moro su “Neuroscienze: il mistero dell’unità dell’io”; alla presentazione dell’ultimo libro di mons. Fiorenzo Facchini “Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale”. E poi l’incontro con il celebre paleo-antropologo Ian Tattersall e il teologo William Carroll, che discuteranno di “evoluzione biologica e natura dell’essere umano”. Per non parlare della mostra “Che cos’è l’uomo perché te ne ricordi? Genetica e natura umana nello sguardo di Jérôme Lejeune”, curata dall’Associazione Euresis e dalla Fondazione Jérôme Lejeune che porta la domanda sulla natura umana e sul valore della vita a un livello radicale, dove l’unicità irriducibile dell’uomo e la contingenza di ogni vivente si spiegano solo a partire da un atto di amore gratuito del Creatore.
Sono tutti momenti che non si preoccupano di “definire” la natura umana in un chiuso sistema di calcoli e schemi teorici ma che a più riprese “aprono” lo sguardo verso l’insopprimibile dimensione religiosa che anima tutto l’agire dell’uomo. Quella dimensione, come ha detto Tattersal in una recente intervista adAvvenire, emersa insieme al pensiero simbolico circa 100mila anni fa «quando, grazie a un salto cognitivo l’uomo viene messo definitivamente in grado di uscire dal sistema ecologico prestabilito e di modificare i processi naturali».
Come si può ascoltare per bocca del biologo Jeffrey Schloss: «la scienza non può dare risposte esaurienti sulla natura umana , ma aiuta a porsi la domanda su cos’è l’uomo in maniera molto più profonda e drammatica».