MEETING RIMINI 2015/ Vittori (astronauta): guardare le stelle dal cielo, un tuffo in una distesa luminosa incontenibile

- int. Roberto Vittori

Tra gli incontri dell’ultimo giorno del Meeting di Rimini c’è anche quello che vede tra i relatori ROBERTO VITTORI, astronauta italiano protagonista di questa intervista

nasa_spazio Foto: InfoPhoto

Cosa vorrà dire nostalgia delle stelle per uno che alle stelle è andato più vicino di tutti noi e per ben tre volte? Lo sapremo oggi pomeriggio, quando l’astronauta Roberto Vittori proprio di questo parlerà al Meeting di Rimini, nell’incontro clou della giornata conclusiva, dialogando con gli astrofisici Duccio Macchetto e Marco Bersanelli.

Il colonnello Vittori – che attualmente ricopre il ruolo di Space Attaché presso l’Ambasciata italiana negli Usa ed è il Responsabile dell’ASI Office a Washington – ha avuto il suo battesimo spaziale nel 2002, partecipando alla missione taxi-flight “Marco Polo” sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Tre anni dopo è tornato in orbita con la missione “Eneide”, per svolgere un intenso programma di 22 esperimenti nei settori della biologia, fisiologia umana, dimostrazione tecnologica e didattica.

Nel 2011 è decollato per la terza volta, col penultimo volo della flotta degli Shuttle, portando con sé l’AMS-2 (Alpha Magnetic Spectrometer), il più grande esperimento mai installato sulla ISS e realizzato con importante contributo italiano. Obiettivo dell’AMS-2 era la ricerca di tracce di antimateria e lo studio dell’origine della materia oscura; quindi uno strumento puntato verso le profondità cosmiche, verso gli spazi interstellari e intergalattici, che Vittori ha potuto ammirare da una posizione privilegiata, come ha raccontato a ilsussidiario.net.

Quando si preparava a diventare astronauta, a quale tipo di missione pensava?

All’inizio la mia preparazione si è svolta al Johnson Space Center della NASA a Houston (Texas), in vista del volo a bordo dello Space Shuttle. Il percorso che mi ha portato a diventare astronauta è stato un percorso misto: io sono un pilota dell’Aeronautica Militare Italiana ma al contempo ho una laurea in fisica. Quindi da sempre ho avuto questo doppio orientamento: sia operativo, indirizzato alla conduzione di macchine complesse, come lo Space Shuttle; sia di ricerca scientifica vera e propria. Ed era proprio sviluppare questo duplice interesse l’obiettivo iniziale della mia preparazione.

Lei ha vissuto tre esperienze di missioni spaziali: ci può descrivere brevemente le principali differenze?

Le tre missioni spaziali a cui ho partecipato sono state nel 2002, 2005 e 2011. Diversamente dalle aspettative iniziali, ho volato per la prima volta a bordo della Soyuz russa, un veicolo molto differente dallo Space Shuttle: una capsula, una macchina che a me piace definire semplice, efficiente ed economica ma insieme estremamente capace.

Sono state tre missioni con tutta una serie di esperimenti scientifici con l’opportunità di essere il primo italiano a volare a bordo del vettore russo; ma sono state anche tre esperienze che hanno aperto la porta a quelle che oggi vediamo spesso in televisione e cioè le missioni di lunga durata di Paolo Nespoli, Luca Parmitano e Samantha Crisatoforetti.

Con la terza missione, finalmente ho potuto volare a bordo dello Space Shuttle, come avevo pensato di fare fin dall’inizio; e si è trattato dell’ultima missione disponibile, perché subito dopo il programma Shuttle è stato terminato e oggi gli Shuttle sono tutti conservati in vari Musei. Nel 2011 ho avuto l’onore di essere l’ultimo europeo a volare su un veicolo di questo tipo.

Questa missione aveva anche un rilevante contenuto scientifico…

Quella missione, la STS-134, era una di quelle messe nel manifesto – così si chiamavano i programmi di volo dello Shuttle – proprio per mettere in orbita l’esperimento identificato come AMS, il più grande esperimento che abbia mai volato e che mai volerà sulla Stazione Spaziale dato che, con lo Shuttle ormai in pensione, non abbiamo più la possibilità di portare in orbita oggetti così complessi, così pesanti, così tecnologicamente impegnativi. La STS-134 è stata voluta proprio prima del pensionamento dello Shuttle per permettere a questo gioiello della tecnologia di arrivare in orbita. Il mio compito a bordo della missione è stato quello di operare il braccio robotico per estrarre dalla stiva della navetta l’AMS e agganciarlo alla ISS.

 

Come sta procedendo l’esperimento?

Ora io sto seguendo lo sviluppo dell’esperimento, per interesse personale, seppur non sia direttamente coinvolto con le attività più precisamente sperimentali. In questo momento AMS è a bordo della Stazione Spaziale e continua a scaricare dati che vengono elaborati dai vari gruppi e centri di ricerca in tutto il mondo.

 

Per lasciare la Terra bisogna essere attratti da qualcosa: lei da cosa era, o è, principalmente attratto?

Oltre ovviamente al fascino dell’esplorazione, il motivo per cui ci si dedica a questa attività è il pensiero del futuro del pianeta, dei nostri figli, delle prossime generazioni. Il pianeta Terra, così come lo vediamo dalla Stazione Spaziale, è grande ma le risorse dell’ecosistema terrestre sono limitate; la popolazione è in esponenziale aumento: è quindi d’obbligo per noi cercare di poter utilizzare le risorse extra atmosferiche, altrimenti distruggeremo, in modo sempre più sistematico, le risorse del nostro pianeta. Andare nello spazio diventa allora una condizione fondamentale per garantire la sopravvivenza del nostro stesso pianeta. Con questo spirito ho da sempre cercato, sia personalmente che indirettamente, di spingere verso l’esplorazione e l’utilizzo delle risorse extra atmosferiche.

 

Qui al Meeting è a tema l’esperienza della mancanza: di che cosa si sente la mancanza quando si sta sulla Stazione Spaziale?

A bordo della Stazione Spaziale si sente la mancanza della bellezza delle cose terrestri, delle cose belle e preziose che nel tran tran della vita quotidiana spesso non ci rendiamo conto di avere a disposizione.

 

Però dalla ISS si vede il pianeta nella sua globalità: com’è la Terra vista dal cielo? E com’è il cielo (le stelle) visto dal cielo?

La vista della Terra dallo spazio è quanto di più forte, attraente e accattivante si possa pensare; ti cattura sia gli occhi che il cuore. L’azzurro della superficie terrestre, la sottile striscia atmosferica, l’effetto tridimensionale sono un messaggio molto forte, un messaggio positivo che ti rimane come ricordo indelebile.

Guardare verso le stelle è altrettanto forte. È più difficile, anche perché la ISS ha gli oblò rivolti principalmente verso la Terra e comunque la luminosità del nostro pianeta è molto intensa. Osservare le stelle richiede pazienza e un po’ di attenzioni tecniche, come quella di spegnere le luci esterne della stazione; ma non è impossibile. E quando si riesce ad abituare l’occhio, è letteralmente un tuffo in una distesa multidimensionale di punti luminosi, sconfinata e incontenibile. Sono scenari che si possono avvicinare con la fotografia o con la simulazione ma l’esperienza dell’effetto tridimensionale dell’immergersi nell’infinità del cielo stellato non è riproducibile né descrivibile a parole e puoi solo viverlo in qualche momento della missione spaziale. E ti rimane dentro.

 

Si parla molto oggi delle future missioni su Marte: quali sono a suo avviso i principali problemi e pensa che potranno essere risolti?

La missione su Marte è tecnicamente fattibile ma è tecnologicamente molto complessa: ad oggi i sistemi propulsivi, cioè i razzi, di cui disponiamo non consentono di arrivare sul pianeta rosso con sufficiente rapidità. Se oggi dovessimo progettare una missione per Marte, dovremmo pensare a un tempo di percorrenza di una tratta di almeno sei mesi: è troppo per pensare a un’andata, una permanenza e un ritorno a Terra. D’altra parte Marte è il prossimo pianeta che potremo colonizzare perché ha un’atmosfera, seppur più tenue di quella terrestre. Quindi in futuro si potrebbe pensare di insediarvi delle colonie, cosa che non possiamo fare sulla Luna dove per rimanere dovremmo costruire edifici sotterranei o comunque delle robuste strutture di protezione. Marte, data quella pur piccola atmosfera ha già un certo suo scudo protettivo naturale, che consentirebbe la colonizzazione. Resta però il fatto che, nel futuro prevedibile, il viaggio su Marte non è pensabile per la ragione di tempo che ho indicato. Ma è un problema tecnologico: non appena avremo dei sistemi in grado di ridurre i tempi di viaggio, allora vivremo l’esperienza della colonizzazione marziana.

 

Lei, se glielo proponessero, andrebbe? E perché?

Certamente è una delle missioni più complesse ma assolutamente e incredibilmente più affascinanti che un astronauta possa fare. Quindi direi di sì.

 

(Mario Gargantini)








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