La storia dell'omicidio di Melania Rea e le prove che inchiodarono il marito Salvatore Parolisi: dai primi sospetti alla svolta nelle indagini
Una lite coniugale sfociata in un terribile omicidio: si può sintetizzare così il delitto di Melania Rea, uccisa dal marito Salvatore Parolisi 14 anni fa. La vittima, originaria di Somma Vesuviana, in Campania, era figlia di un militare e sposata con un caporale maggiore dell’esercito, da cui aveva avuto una bambina, ma l’uomo aveva un altro figlio nato da una relazione precedente.
I due ebbero una lite perché la donna scoprì che il marito aveva una relazione extraconiugale con una sua allieva più giovane, che voleva che lasciasse la moglie. All’inizio, però, il caso si configurò come quello di una scomparsa, perché la donna, che era uscita al parco con la figlia, a detta del marito si era allontanata e aveva fatto perdere le sue tracce.
MELANIA REA, DALLA SCOMPARSA AL RITROVAMENTO
Diversi elementi fecero stringere il cerchio attorno al marito, a partire dalle sue bugie e omissioni. Emersero, infatti, incongruenze, depistaggi e bugie compulsive. Gli inquirenti, con un lavoro meticoloso fatto anche di accertamenti tecnici e approfondimenti investigativi, come l’aggancio delle celle telefoniche e l’analisi dei tabulati, riuscirono a unire le tessere del puzzle.

Melania Rea venne trovata morta due giorni dopo la sua scomparsa. Il ritrovamento fu possibile grazie a una telefonata anomala: quella di un informatore anonimo che aveva individuato il cadavere durante una passeggiata nel bosco delle Casermette, a Ripe di Civitella, ma che non sembrava sotto choc.
Il corpo di Melania Rea venne trovato con il corpetto leggermente alzato e gli slip abbassati, con alcuni sfregi sul ventre e sulle cosce, e con una siringa conficcata all’altezza del cuore. Il medico legale stabilì, però, sin da subito che era morta per le coltellate.
LA SVOLTA NELLE INDAGINI E LE PROVE CONTRO SALVATORE PAROLISI
Gli inquirenti scartarono l’ipotesi del maniaco e ipotizzarono quella di un fanatico, ma poi si resero conto che i segni erano un tentativo del killer di depistare le indagini. I comportamenti sospetti di Salvatore Parolisi – dalle mancate ricerche agli avvertimenti all’amante per farle cancellare i loro contatti – cominciarono a destare i sospetti degli inquirenti, che approfondirono la vita coniugale della coppia, scoprendo tradimenti.
La relazione extraconiugale divenne il possibile movente. Il marito fu quindi indagato e poi arrestato. Vennero trovate tracce biologiche sulle labbra della vittima, dovute a un contatto avvenuto necessariamente prima della morte, perché altrimenti quelle cellule sarebbero state eliminate.
Le prove decisive erano quelle dell’autopsia: Melania Rea era stata uccisa proprio nel lasso temporale in cui il marito aveva detto di essere con lei. E poi appunto il riscontro del Dna sulle labbra e gli incisivi della vittima, che secondo la parte civile sarebbe stato lasciato dalla mano dell’uomo per impedire alla moglie di gridarla mentre l’accoltellava.
Dagli atti emerse che Melania Rea era diventata per il marito una minaccia, poiché aveva minacciato lui e l’amante di rovinarli, forte delle sue conoscenze nel mondo militare. Inoltre, Parolisi conosceva bene la zona del ritrovamento, poiché lì si esercitava il suo reggimento. Per allontanare i sospetti da sé, fornì durante le indagini una serie di menzogne che, per i giudici, lo inchiodarono.
