È stato approvato su proposta del presidente del Consiglio Draghi e del ministro della Salute, Roberto Speranza, un decreto-legge che dispone la prosecuzione, fino al 27 marzo 2021, su tutto il territorio nazionale, del divieto di spostarsi tra diverse Regioni o Province autonome, “salvi gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o motivi di salute”. Seguono altre norme più specifiche che ripropongono – quasi senza soluzione di continuità con le norme precedentemente in vigore – regole di dettaglio relative agli spostamenti tra Comuni e alle visite a familiari.
Se nella sostanza si tratta di regole conosciute perché entrate in vigore sotto il precedente Governo, per quanto riguarda la procedura si segnalano almeno due fattori di discontinuità.
Il primo riguarda la nuova forma dell’atto normativo, cioè la forma del decreto-legge, atto avente forza di legge, previsto dalla Costituzione per regolare situazione di necessità ed urgenza e da essa espressamente definito come provvisorio, che deve essere poi convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni. L’uso del decreto-legge non è certo nuovo tra le fonti che hanno consentito al governo di regolamentare la pandemia; altri ne sono stati emanati e sono stati poi regolarmente convertiti in legge dal Parlamento.
In linea generale, tuttavia, gli atti attuativi di tali decreti avevano preso la forma del decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm), atti amministrativi adottati dal solo capo del governo, che spesso li annunciava ancora prima di avervi conferito una forma definitiva (e quindi nota). La scelta di aprire la nuova stagione governativa con un atto che, pur prevedendo solo un prolungamento della situazione esistente, ha natura di fonte primaria ed è di provenienza dell’intero Consiglio dei ministri, che lo delibera per sottoporlo al presidente della Repubblica, competente ad emanarlo, è quanto mai significativa di quell’ampio coinvolgimento delle forze politiche e delle istituzioni più volte invocato come fondamentale e specifico del nuovo corso.
Da notare – e questa è la seconda questione di interesse – che al Consiglio del ministri, che lo delibera, partecipa il nuovo ministro agli Affari regionali, che insieme a quello della Salute ha provveduto a coinvolgere le Regioni nelle scelte del nuovo esecutivo. Mentre per ora non sono state formalizzate scelte condivise tramite il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, è tuttavia significativo sia l’assenso del ministro citato al decreto-legge sia i passi intrapresi dal medesimo (e da altri colleghi dell’esecutivo) per attivare un dialogo con le autorità regionali circa le modalità di approccio alle misure finalizzate al contenimento della pandemia. Entrambi i fattori preludono a quella “leale collaborazione” tra i diversi livelli di governo, anch’essa sovente ricordata come uno dei valori che devono essere rispettati dalle prassi governative.
Di questo nuovo corso ha dato testimonianza il presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini, che oggi (ieri, ndr) ha dichiarato che i presidenti delle Regioni hanno manifestato ai ministri Gelmini e Speranza il loro assenso alla “proroga delle misure relative al blocco degli spostamenti interregionali” aggiungendo giustamente che il dialogo attivato non deve essere interrotto. Bonaccini ha infatti richiesto che ci si appresti a discutere in una sede collegiale i contenuti che dovrà avere il prossimo Dpcm per il contenimento dell’emergenza Covid-19.
Occorrerà poi mettere in atto un lavoro di squadra Governo-Regioni per definire e attivare tutte le misure da adottarsi per un efficace utilizzo delle risorse che saranno previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Collegialità delle forme decisionali, pienamente rispettose del dettato costituzionale, e leale collaborazione tra i diversi livelli di governo dovranno quindi essere la cifra del nuovo esecutivo che ha iniziato a lavorare perché il Paese possa riprendersi dalla crisi epocale in cui la pandemia lo ha gettato.