Michail Borisovič Chodorkovskij è tra gli ospiti della puntata odierna di “Oggi è un altro giorno”, trasmissione di Rai Uno condotta da Serena Bortone. Ricostruiamo il suo profilo nelle prossime righe, partendo dal fatto che si tratta di un oppositore di Vladimir Putin in esilio, che nel 2003 fu ritenuto l’uomo più ricco della Russia e al 16° posto tra i più abbienti dell’intero orbe terracqueo. L’imprenditore è peraltro fondatore e leader dell’organizzazione anti-Putin “Open Russia”, riconosciuta dal governo sovietico come agente straniero. Lui, in questo momento, risiede a Londra.
L’uomo, ingegnere chimico, agli esordi degli anni Novanta accumulò una discreta fortuna con il commercio di valuta. In quegli anni un ristretto gruppo di persone, di cui Chodorkovskij fece parte, gli oligarchi russi, si impossessò delle principali compagnie del Paese (specialmente quelle attive nell’estrazione di materie prime), e sulla base di queste acquisizioni costruirono immensi patrimoni personali. La crisi finanziaria russa del 1998, però, ebbe gravi ripercussioni per gli affari di Chodorkovskij, che si trovò sull’orlo della bancarotta. Riuscì a risollevarsi, ma sulla sua testa pendeva una spada di Damocle, staccatasi il 25 ottobre 2003.
Michail Borisovič Chodorkovskij, chi è? Dal carcere all’amnistia del 2013
Quel giorno, infatti, Chodorkovskij fu arrestato per frode fiscale e, nel 2010, per appropriazione indebita e riciclaggio di denaro, estendendo così la sua carcerazione fino al 2017. Secondo i principali e più autorevoli analisti della geopolitica internazionale, il processo politico ai suoi danni fu voluto da Putin, che ne approfittò per sbarazzarsi così di uno degli uomini più facoltosi della nazione sovietica. Il 30 maggio 2005, egli fu condannato a nove anni in un carcere di media sicurezza, venendo detenuto a Matrosskaya Tishina, una prigione di Mosca.
A ottobre di quell’anno, Chodorkovskij fu consegnato al campo di lavoro YaG-14/10 nella città di Krasnokamensk, vicino a Chita, a due passi da una miniera di uranio, e fu messo a lavorare nella fabbrica di guanti della colonia. In appello, la sua condanna fu ridotta a 10 anni e 10 mesi, ma il 18 dicembre 2013 la Duma approvò un provvedimento di amnistia per i reati di cui era accusato e due giorni più tardi, appena fu scarcerato, lasciò la Russia alla volta della Germania e oggi risiede nel Regno Unito.