Pulito e bonificato solo poche settimane fa, il 20 ottobre scorso, il fiume Lambro è tornato peggio di prima. Nel punto in cui sfiora, senza incrociarlo, il Naviglio Pavese, è stato riempito nuovamente di rifiuti. Bottiglie, contenitori di plastica, taniche. «La Regione, in tal senso è attiva; ma sarebbe necessario compiere una decisiva azione di polizia per sanare il problema a monte. E far capire a chi inquina il danno che crea alla comunità», spiega VINCENZO FRANCANI, docente di geologia al politecnico di Milano interpellato da ilSussidiario.net. In effetti, nella zona situata tra via via Boffalora e via Chiesa Rossa, nella periferia sud, ci sono aree semideserte, a pochi metri dal fiume, dove un malintenzionato riesce ad avere vita facile. Anche gli altri corsi d’acqua milanesi non hanno vita facile. All’inquinamento abusivo, si aggiunge il fatto che è anni che non godono di buona salute. «La Regione sta monitorando attentamente la situazione. Ha varato un piano di fiume, sul Lambro, come su tutte le acque del territorio milanese, per cercare di eliminare gli effetti negativi provocati dalla conurbazione». Il piano è ingente e complicato. «basti pensare che tutti questi corsi d’acqua sono collegati tra di loro e, a loro volta, con l’Adda e il Ticino».
In ogni caso, la Lombardia gestisce, insieme ad altre Regioni «i flussi attraverso l’Agenzia del Po, che coordina l’agglomerato di enti, tendendo in considerazione le norme dell’Unione europea. Ad esempio, con i contratti di fiume, quelle formule che consentono, ad esempio, a enti pubblici o privati di aggregarsi per salvaguardare o risanare un fiume». Nel milanese, a causa di chi continua a inquinare, come nel caso del Lambro, e delle difficoltà strutturali, le ripercussioni della situazione dei corsi d’acqua provoca terribili effetti collaterali. «Anzitutto – spiega Francani – tra un anno la Comunità europea ci chiederà a che punto siamo. E temo che dovremo pagare ingenti sanzioni se non saremo al livello desiderato. Le loro condizioni non li rende, inoltre, utilizzabili per la pesca; spesso, poi, si determina la contaminazione passa alle falde acquifere. Tutta la zona circumfluviale, infine, a causa dei cattivi odori emanati, della presenza di zanzare, o della formazione di bolle mefitiche, è degradata; non ci si può costruire né vivere. Anche perché la composizione di quelle acque è tale che, in certi punti, riesce a corrodere gli argini». Una bella perdita. «Si tratta zone che potrebbero essere utilizzate, ad esempio, per realizzare i parchi cittadini».
Pulire le acque, tra l’altro, non è così semplice: «Anzitutto, va tenuta sotto controllo la produzione di contaminanti agricoli, per impedire che superi una certa concentrazione; vengono, inoltre, monitorati i reflui urbani e agricoli». Passando alla rimozione dei rifiuti e degli agenti inquinanti, spiega: «si utilizzano sistemi di grigliatura che sono flottanti a mezz’acqua. Per i rifiuti troppo pesanti, si dovrebbe attendere la secca per asportarli. Questo, tuttavia, avviene raramente. Si usano, inoltre e dei composti chimici che ripuliscono le macchie di idrocarburi, isolandole e rendendole, in un secondo momento, rimuovibili, con dei sistemi di pompaggio».