Poche settimane prima della recente tornata elettorale, forse fiutando aria di disfatta, Letizia Moratti aveva fatto ritagliare lungo un pezzetto di Cerchia dei Navigli una pista ciclabile. La fiancheggio praticamente ogni giorno nei lunghi tragitti da casa al lavoro, da una periferia all’altra della mia amatissima città. Una ciclabile insulsa, di sola andata senza ritorno, che impedisce alle macchine non solo di parcheggiare, ma anche semplicemente di accostare e far scendere un passeggero.
Biciclette in compenso ne vedo poche, anche se siamo in quella zona privilegiata della città dotata dei servizi di Bikemi. Del resto la ciclabile, una volta arrivata nei pressi di corso Genova, finisce nel nulla. Non è una novità: Milano è tutta piena di monconi di piste ciclabili, nate a causa di sventurati soprassalti di coscienza degli amministratori, e morte poche centinaia di metri più in là. Ne ho in mente una, in zona vecchia Fiera, nascosta da una siepe tutta scarmigliata di ligustro, da cui i ciclisti, per loro fortuna rari, sbucano rischiando ogni volta l’incolumità. Ed è un virus contagioso quello delle ciclabili insulse: nel paese dove abito, attaccato a Milano, ne hanno fatta una che più che una pista è un’autostrada. Non ci vedo mai nessuno: del resto unisce una zona morta del paese a un’altra zona morta, il cimitero.
So di dire e pensare un’idea molto scorretta, ma credo che ci si debba mettere il cuore in pace e arrendersi al fatto che Milano è una città scarsamente ciclabile. I motivi non è difficile trovarli. Ci sono quelli oggettivi: il clima e l’aria non molto raccomandabili; i binari del tram che sono un po’ l’amato e pericoloso filo d’Arianna della città; le dimensioni che non sono quelle di una megalopoli ma neanche dei tanto decantati paesoni nordici.
Ci sono poi le ragioni più radicate, quelle più intime che magari non osiamo esternare: perché Milano è una città che va di fretta, che a volte sembra presa dalle fregole. C’è chi liquida questo stile di vita come nevrotico, a me sembra molto più semplicemente una sana voglia di fare e di brigare. E se si va in bici non si fa e non si briga molto.
Non voglio gettare discredito contro i tanti pedalatori che al mattino vedo fremere in coda alle rastrelliere di Bikemi davanti alla Stazione Nord. Loro fanno parte del popolo della fretta, perché su due ruote sanno di arrivare prima che con metro o autobus. Invece mi infastidiscono tutti quelle anime candide delle due ruote, che predicano una Milano campestre che esiste solo nei loro sogni. Che guardano con vero disprezzo antropologico gli automobilisti. Che spiattellano tutta la loro superiorità ecologica, solo perché ogni mattina si permettono lo sfizio di fare in bicicletta il loro tragitto centro- centro. E se piove, taxi…
Noi gente delle periferie non sogniamo né ciclabili, né una Milano formato Amsterdam. Ma una bella città con mezzi pubblici che funzionano e che non cadono a pezzi poche settimane dopo l’inaugurazione. A proposito: non lontano da casa mia hanno portato una bellissima stazione capolinea della metropolitana gialla, dimenticandosi però il parcheggio. Mi auguro che con l’aria che tira non pensino di rimediare con un’inutile ciclabile…