Milano è invasa dagli elefanti. Statue di elefanti, più di 80, sparpagliate per le vie del centro e a Malpensa. Delle opere, a loro modo, artistiche; se non le ritenesse tali, l’assessorato alla Cultura non avrebbe di certo dato il proprio patrocinio. «Un’iniziativa assolutamente necessaria. Se c’è una cosa di cui Milano sentiva la mancanza, erano gli elefanti. Mi pare un’idea davvero encomiabile…», ironizza, invece, Philippe Daverio interpellato da ilSussidiario.net. Quando gli spieghiamo che le statue sono state realizzate da artisti affermati ed emergenti e che il 22 novembre saranno battute all’asta da Christie’s per finanziare The Asian Elephant Foundation e Fondazione Telethon, ci fa presente che trovate di questo tipo vanno prese per quello che sono: «è un noto business internazionale. Come, all’epoca, quello delle mucche (quando Milano fu invasa da statue di bovini ndr). Ci sono cascati in molti in Europa. In particolare svariate città di provincia tedesche. C’è tutta una filiera produttiva che per legittimarsi identifica un obiettivo legato al volontariato o all’associazionismo. Di solito, queste rappresentazioni le ospitano più volentieri le città di provincia. Dove non succede nulla. Quelle grandi, di solito, hanno dei programmi già stabiliti sul proprio decoro urbano». Milano denota, quindi, un certo provincialismo. «Più che altro è una dichiarazione di dimensione culturale. Chi può fare di più fa di più». Chi non può, soggiace, secondo Daverio, alle insistenze di chi intraprende questi business. «La pressione che viene da parte degli operatori del settore è molto alta. Dipende tutto dalla capacità di gestirli. Se un assessorato non ha proposte, del resto, è molto facile che si lasci condizionare da pensate del genere». Eppure, Milano, ne avrebbe di proposte su cui lavorare. «Manca un piano strategico per la cultura della Città. Il dibattito, ad oggi, ha toccato tre punti: se spostare o meno il Quarto Stato, se spostare o meno il dito di Cattelan e se mettere o non mettere gli elefanti. Tutto sommato, se li consideriamo nell’insieme, un pensiero si sta delineando». Sembra, in realtà, un po’ poco. «Il problema è che alla Città occorre un percorso teleologico. L’obiettivo esiste. I milanesi, spesso, lo dimenticano; ma nel 2015 ci sarà l’Expo. Sarebbe opportuno che gli assessorati alla cultura interessati esprimessero delle indicazioni. Non solo gli assessori, ma anche il presidente Formigoni, che coordina gli assessori regionali, dovrebbe dire la sua e spiegare che cosa si intenda fare nell’ambito della fiera mondiale».
In assenza di indicazioni dai diretti interessati, Daverio lancia qualche spunto: «Comune, Provincia e Regione dovrebbero sedersi attorno a un tavolo e decidere, ad esempio, cosa fare – da qui all’Expo – del sistema museale di Milano. Il museo di Libeskind seguirà la crisi finanziaria del gruppo Ligresti o avrà un suo destino? Come si intende ri-adeguare il museo di Piazza del Duomo, il cui successo iniziale si è notevolmente ridimensionato? Cosa si intende fare con le strutture stabili come il Palazzo Sforzesco?». E gli elefanti, in tutto ciò, che c’entrano? «Beh, se gli elefanti sono propedeutici rispetto a questa prospettiva, ben vengano. Se, da questo punto di vista non servono a niente, credo che sarebbe necessaria un po’ di attenzione in più al futuro di Milano».
(Paolo Nessi)