Domenica sul Corriere della Sera Carlo Bertelli, già sovrintendente di Brera, ha lanciato il caso di alcuni capolavori, come il David, la Gioconda o la Sistina, che con la loro “esagerata” popolarità soffocano i musei. All’elenco Bertelli aggiungeva anche la Pietà Rondanini di Michelangelo, custodita nei Musei del Castello Sforzesco a Milano. Ahinoi, per quel capolavoro assoluto lasciato incompiuto dal Buonarroti al momento della sua morte, le cose non stanno per niente così. La Pietà se ne sta nell’ombra, prigioniera di un allestimento discusso, per quanto firmato da una grande studio come Bbpr. Così i flussi di visitatori che la riguardano sono imparagonabili rispetto alle altre situazioni elencate da Bertelli. Eppure la Pietà ha tutte le carte in regola per essere uno dei veri simboli di Milano: fu il Comune meneghino infatti ad acquistarla con grande lungimiranza nel 1952, dagli ultimi eredi della famiglia romana dei Rondanini, grazie anche ad una sottoscrizione. Insomma è un capolavoro che Milano ha fortemente voluto avere tra le proprie raccolte. Come testimonianza di un genio che mancava nei musei cittadini e anche come immagine umanamente e artisticamente così consonante con lo spirito migliore della cultura ambrosiana.
La notizia è che finalmente per la Pietà Rondanini potrebbe cominciare una nuova storia: oggi la Giunta milanese infatti dovrebbe approvare il piano messo a punto da Stefano Boeri, assessore alla Cultura e che prevede un percorso davvero straordinario. La Pietà Rondanini infatti, prima della sua definitiva e adeguata sistemazione in un’altra sala del Castello, verrà portata per alcuni mesi al centro del Panopticon di San Vittore, cioè in quel punto da cui si dipartono i sei raggi del carcere, e dove, tra l’altro, ogni domenica si celebra la Messa, sempre affollatissima, per i detenuti. Un luogo assolutamente emblematico, punto di convergenza per centinaia di storie di colpa e di sofferenza.
Cosa sia il carcere, cosa sia quel carcere nel cuore della città, lo possiamo intuire tutti confrontandoci anche semplicemente con i numeri drammatici che lo riguardano: oltre 1600 detenuti per una capienza massima di 900. Come ha detto Gloria Manzelli, direttrice del carcere, e convinta sostenitrice del progetto Pietà, «il sovraffollamento è una disumana costante».
Portare la Pietà Rondanini in quel luogo, ha quindi un doppio potente significato: rimettere contemporaneamente al centro della sensibilità e della coscienza di tutti una condizione umana e un grande capolavoro. Ovviamente la connessione tra l’una e l’altro non ha bisogno di molte spiegazioni. Il senso profondo della Pietà è quello di un dolore accolto e condiviso, e probabilmente nessun’altra opera ha saputo esprimere con tanta intensità poetica e umana questa dimensione.
Tanto è vero che il notaio chiamato a stilare l’inventario dei beni di Michelangelo, il giorno dopo la sua morte, l’aveva descritta così: «Un’altra statua principiata per un Cristo ed un’altra figura di sopra, atacata insieme». “Atacata insieme”: è tale la condivisione del destino tra la madre e il figlio, che Michelangelo correggendo in corsa la sua opera, aveva scelto la soluzione ardita e così moderna di fondere le due figure in una massa unica.
Immaginiano le obiezioni che sentiremo fare. Ad esempio: in questo modo la Pietà viene segregata. A parte che non è vero, perché si tratta di un’esposizione a tempo determinato, e inoltre il carcere aprirà le porte ai visitatori ovviamente a orari fissi e prestabiliti e previa necessaria prenotazione (anche per il Cenacolo è così); a parte questo, credo che la vera segregazione la Pietà l’abbia subita in tutti questi anni, quando se ne è rimasta semidimenticata dai milanesi nel museo che la ospita. Altra obiezione: si smantella un allestimento storico. Obiezione pretestuosa, perché se un allestimento non funziona, taglia fuori da ogni grande prospettiva un capolavoro come la Pietà, mettendola “nell’angolo”, e non è neppure accessibile ai disabili, bisogna avere pure il coraggio di metterlo in discussione. Sino a prova contraria è l’allestimento che deve essere funzionale all’opera e non viceversa.
La verità è che la Pietà Rondanini portata nel cuore di San Vittore è un gesto di straordinaria potenza simbolica e di non minore valore culturale e insieme civile. Uno di quei gesti che può aiutare Milano a scoprire il meglio di se stessa: aperta, fattiva e attenta nel mettere il fattore umano al centro delle proprie scelte.