Quando mi capita di passare, abitando nelle vicinanze, attorno a quel triangolo di terra sotto assedio che tra 11 mesi ospiterà l’Expo, la prima reazione istintiva è: ma chi ce l’ha fatto fare? Da una parte c’è la grande Fiera, che pur nella sua mastodonticità dice qualcosa di importante e di vitale riguardo a Milano e a tutto il grande territorio che la circonda. Dall’altra questa distesa di terra ancora senza un capo e una coda, e che miracolosamente uscirà trasfigurata dalle decine e decine di gru, benne, scavatrici che vi stanno lavorando.
Di per sé una città come Milano, piena di magagne ma certamente molto più vitale di quanto i tanti suoi detrattori vorrebbero far credere, non aveva bisogno di un fuori programma come l’Expo per continuare ad essere la città traino del nostro paese. E non essendo neppure mai stata una città “d’intrattenimento” una manifestazione sul modello dell’Expo non è troppo nelle sue corde. Eppure il dado è tratto, l’appuntamento del 1 maggio del 2015 è là davanti ed accampare dubbi e lamentele è un esercizio un po’ ipocrita, oltre che fuori tempo massimo.
L’Expo è davanti a noi, e anche se da qui al 1 maggio ci riserverà altre occasioni per pentirci di quella scelta, come lo scandalo venuto a galla proprio in questi giorni, converrà iniziare a guardarlo con altri occhi. Il primo consiglio è quello di allentare un po’ le attese: non so quante persone verranno a visitarlo, ma ho la sensazione che saranno meno di quello che si dice. Non so che sorprese riserverà la grande sarabanda dei padiglioni, ma ho la sensazione che non vedremo (per fortuna) cose troppe funamboliche: il padiglione cinese della Vanke, colosso delle costruzioni, pur affascinante per l’idea architettonica di Daniel Liebeskind, sarà “grande” mille metri quadri, meno di un negozio Gucci o Prada. Quello che si annuncia molto suggestivo degli Emirati Arabi, disegnato da Norman Foster, è un serpentone stretto stretto, lungo 140 metri. Quello americano non spiccherà particolarmente con i suoi 2700 metri quadri. Hanno fatto cose più in grande Russia e Germania, con lotti (non edifici) di 4mila metri quadri… Per rendere l’idea, il padiglione italiano nell’Expo 2010 di Shangai era di 3600 metri quadri, ma a ben 18 di altezza…
Togliere un po’ di enfasi all’Expo, pensare a un evento che non teme di essere di tono minore non è solo un modo sano per metabolizzarlo. È anche un modo per dettare un proprio stile, per far capire che, per proporre cose significative, non c’è bisogno di soluzioni esagerate. Insomma, dovremo saper vendere con convinzione l’idea che la stagione degli eventi iperbolici, dettati da ambizioni ingorde è finita. Del resto era così sin dall’inizio, quando venne scelto un tema bello e giusto, quello del cibo per tutti, che poi s’è un po’ annacquato per strada, anche perché la location scelta, al centro di uno dei crocevia più trafficati d’Europa non era adatto a prestarsi come “orto globale”.
In questa Expo un po’ “low”, avremo anche cose di cui andare orgogliosi e da vendere al mondo: mi riferisco ad esempio alla bellissima iniziativa del nuovo “cenacolo” per Milano che sorgerà nella periferia nord di Milano, a Greco, dove su un’idea di un grande chef, Bottura, e con il sostegno della curia milanese, sorgerà una mensa per i poveri in cui colleghi di Bottura (ben 40 sono state le adesioni) saranno chiamati a cucinare le eccedenze alimentari raccolte ogni giorno in Expo. Sarà gestita fin dall’inizio da Caritas ambrosiana: ma rimarrà in funzione anche dopo la chiusura dell’esposizione universale. Ad abbellire il nuovo “cenacolo” si sono già candidati molti grandi artisti e designer: buon cibo, bellezza, vocazione solidale. Questa sarà una vera eccellenza italiana.
Quanto ai 600mila cinesi previsti, non resteranno certo delusi. Se all’Expo toveranno forse cose piccole per loro, la visione e l’esperienza del Duomo sarà più spettacolare di quello che anche il più immaginifico dei padiglioni potrebbe proporre.