MISSILI RUSSI SU KIEV/ “Ecco come costringere Putin al negoziato a ogni costo”

- int. Giorgio Cuzzelli

Dopo le dichiarazioni britanniche sulla necessità di estirpare Putin dall'Ucraina, è arrivata la risposta di Mosca: bombe su Kiev

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Bombe sulla diplomazia. I missili russi piovono sul centro di Kiev durante l’incontro tra il segretario generale dell’Onu António Guterres e il presidente Volodymyr Zelensky. Pare che sia stata bombardata la zona in cui si trova l’ambasciata britannica. Non è casuale: il ministro della Difesa di Londra Bob Wallace proprio ieri ha detto che è necessario espellere Putin dall’Ucraina, liberandola dalla “crescita cancerosa” (“cancerous growth”) della forze russe. Le sue dichiarazioni hanno fatto seguito a quelle della collega Liz Truss, ministro degli Esteri, secondo la quale Putin dev’essere ricacciato indietro, fuori dai confini ucraini. 

Parole coerenti con l’obiettivo dell’alleanza occidentale, reso esplicito dal segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin: armare e utilizzare l’Ucraina per logorare la Russia. Possibilmente fino alla sconfitta di Putin. In un crescendo di tensioni Nato-Russia, ieri è arrivata la risposta di Mosca, mentre Biden ha chiesto al Congresso di approvare 33 miliardi di dollari per armi da destinare a Kiev.

“Al di là di certi toni estremi, l’Occidente sta bene attento ad intervenire” spiega al Sussidiario Giorgio Cuzzelli, generale di brigata dell’esercito italiano in congedo, oggi consulente nel campo della sicurezza internazionale, docente nelle Università Lumsa e Unint di Roma e L’Orientale di Napoli.  “Mosca deve essere costretta al tavolo negoziale ad ogni costo – continua Cuzzelli –. L’alternativa è una spiralizzazione incontrollata e incontrollabile del conflitto”.

Generale Cuzzelli, le parole di Austin denunciano quello che avevamo capito tutti.

È ragionevole affermare che per difendere l’Ucraina è necessario sconfiggere la Russia. Come è altrettanto ragionevole affermare che per indebolire la Russia bisogna armare l’Ucraina. Se vogliamo che gli ucraini resistano, e che Putin si fermi, bisogna armarli.

Ma a che prezzo, per loro? Ritiene sensato combattere “fino all’ultimo ucraino”, come qualcuno pensa di fare negli Usa?

L’espressione mi pare ingenerosa nei confronti del popolo ucraino, e io non la userei. Sono gli ucraini ad aver deciso di resistere a quella che è a tutti gli effetti un’aggressione, e la loro è una libera scelta. Così come è una libera scelta quella di aiutarli. Una cosa è certa: i russi vanno fermati, se vogliamo avere in futuro un ordine internazionale degno di tale nome

Il problema però non è soltanto se le azioni di supporto siano proporzionate agli obiettivi, ma se questo può comportare un’escalation. E soprattutto di quale entità. Che ne pensa?

Mosca deve essere costretta al tavolo negoziale ad ogni costo. L’alternativa è una spiralizzazione incontrollata e incontrollabile del conflitto. Di conseguenza, il suo potenziale militare e la sua capacità offensiva devono essere circoscritti in modo da far comprendere ai russi che il negoziato è l’unica alternativa a un conflitto che non può che concludersi con una sconfitta. Da cui l’aiuto all’Ucraina per raggiungere quantomeno uno stallo. Nel contempo, la pressione politica ed economica sulla Russia deve continuare. È una situazione che ricorda per molti versi quella della Bosnia dei primi anni Novanta, quando si è fatto leva sulla Croazia per costringere i Serbi a trattare.

Martedì il Cremlino ha detto di essere pronto a colpire obiettivi occidentali con armi di precisione a lungo raggio. È avvenuto dopo che Londra ha dichiarato di considerare legittimo che le forze ucraine colpiscano con armi britanniche le linee di rifornimento russe oltre confine. Qual è la sua lettura? 

È perfettamente legittimo da parte ucraina andare ad interdire le fonti di alimentazione dello sforzo russo. Sono stati attaccati, e sono in guerra. In realtà, il messaggio di Mosca è un altro.

E sarebbe?

Guai se fossero i britannici a fare interdizione per conto degli ucraini, che non possiedono certe tecnologie. È un avvertimento: l’Occidente si guardi bene dall’intervenire direttamente nel conflitto.

Ma quale sarà la risposta?

Stiamo ai fatti. Checché ne dica la stampa britannica, al di là di certi toni estremi l’Occidente sta bene attento ad intervenire.

A proposito di britannici. Il ministro della Difesa Wallace ha detto che Putin deve essere sconfitto in Ucraina. A quali condizioni questo può avvenire? Quali obiettivi occorre darsi?

Come ho già detto, il potenziale militare e la capacità offensiva dei russi devono essere circoscritti in modo da far loro comprendere che il negoziato è l’unica alternativa.

A proposito: come si spiega l’ostilità così accentuata, superiore perfino a quella americana, del Regno Unito verso la Russia?

È una domanda che si pongono in molti, e che trova risposta nella storia, nella politica e nella geografia. Comincia con i timori britannici nei confronti dell’espansione russa in Asia Centrale nell’Ottocento, che sembrava minacciare l’India, allora gioiello della corona. Da cui la contesa per l’Afghanistan.

Le ragioni politiche?

Il regicidio è il reato più grave di cui ci si possa macchiare agli occhi di un popolo monarchico. E i Bolscevichi hanno giustiziato Nicola II e la sua famiglia. Non dobbiamo dimenticare che lo zar era nipote della regina Vittoria e cugino di re Giorgio V. Questo senza trascurare il pericolo che la rivoluzione rappresentava per gli equilibri politici interni e internazionali della Gran Bretagna. Non a caso, tra il 1918 e il ’22 l’Inghilterra ha partecipato in modo importante all’intervento per soffocare la rivoluzione sovietica. La marina da guerra britannica, ad esempio, ha svolto un ruolo chiave nell’indipendenza dei Paesi baltici dalla Russia, prima che fossero nuovamente incorporati dall’Urss dopo il patto Ribbentrop-Molotov. Poi è venuta la Seconda guerra mondiale, con l’alleanza forzosa per combattere il comune nemico nazista, e con Churchill che a Yalta si era reso perfettamente conto che Stalin avrebbe fagocitato l’Europa Orientale, ma non fu ascoltato… Si potrebbe continuare.

E se volessimo ricorrere a ragioni geopolitiche più stringenti?

La Gran Bretagna, se vuole sopravvivere coltivando una politica indipendente, non può permettersi di avere rivali potenti nelle vicinanze. Di conseguenza, non ha mai consentito la presenza di una potenza egemone sul territorio europeo. Ciò è valso nel tempo per la Francia, per la Germania e anche per la Russia.

Qualunque cosa possa succedere in Transnistria, l’instabilità sembra venire incontro ad un progetto russo: togliere lo sbocco sul Mar Nero all’Ucraina e collegare Tiraspol con le Repubbliche del Donbass, passando per Odessa, la Crimea e Mariupol.

Vero. Significherebbe occupare, da parte della Russia, una sorta di mezzaluna territoriale che separa l’Ucraina dal mare e assicura a Mosca i fiumi Dnieper e Dniester come linee difensive naturali. Ma è un discorso estremamente aleatorio. Per realizzare questo piano occorre impiegare forze di cui oggi la Russia non sembra disporre.

Come possiamo esserne sicuri?

I fatti vanno in questa direzione. In guerra, chi attacca deve identificare uno sforzo principale in cui concentrare la parte più cospicua delle sue forze, e uno o più sforzi sussidiari per distrarre l’avversario e non fargli capire dove avviene lo sforzo principale. Ma qual era lo sforzo principale russo?

Secondo lei?

Non l’ho capito. La Russia ha fatto non uno, ma tre sforzi principali, attaccando da nord, da sud e da est. Una scelta inspiegabile, a meno che…

A meno che?

A meno che non si aspettassero di essere accolti a braccia aperte. Invece è stato l’opposto. Solo questo spiega gli sforzi parziali che le forze russe hanno condotto fin dal primo giorno, attaccando senza interrompere le reti di trasporto, la rete elettrica, le reti telefoniche. Difficile da comprendere.

Adesso dove si concentra lo sforzo principale?

Indubbiamente nel Donbass. Al di là dell’importanza di accaparrarsi terre ricche di materie prime e di garantire profondità e sicurezza alle due repubbliche di Donetsk e Lugansk, l’obiettivo è quello di eliminare la parte più consistente, moderna e manovriera dell’esercito ucraino, lì schierata.

E sul fronte sud?

Mosca non sembra possedere per ora forze sufficienti per arrivare fino a Odessa, ancor meno in Transnistria.

Si è parlato di tentativo di guerra-lampo russa, Blitzkrieg. Ormai fallito.

E infatti si è equivocato molto. Nell’immaginario collettivo esiste la guerra-lampo. Nella realtà e nella storia, dalla Seconda guerra mondiale in poi, i tempi si sono rivelati molto più lunghi. Non aveva e non ha senso ipotizzare che i russi potessero fare 150 chilometri al giorno in Ucraina.

Neppure a 70 anni di distanza?

Ma qui si tratta di conquistare terreno. E l’occupazione del terreno è sempre condizionata da ciò che von Clausewitz chiama friktion, attrito. La volontà contrapposta dell’avversario, la capacità delle proprie forze, l’ambiente, l’assenza di informazioni, la popolazione in maggioranza ostile. L’attrito è stato determinante e, come vediamo, continua ad esserlo.

Cioè lo dimostrano le perdite?

Esatto. Ci stupiamo che i russi abbiano perso migliaia di uomini, ma l’attrito è l’aspetto “normale” della guerra. Colpa nostra averlo rimosso. Sia chiaro: per motivi validissimi. Ma i fatti dimostrano che la guerra esiste ancora e si continua a farla.

Sull’acciaieria di Azovstal si è detto e scritto di tutto. Perché le truppe migliori di Kiev si sono di fatto messe nel ruolo di assediati, insieme ad un cospicui numero di civili? Per difendere che cosa? L’impianto? O ci sono altre ragioni?

Questa guerra è fatta di ciò che avviene sul terreno, da un lato, e di narrazione, dall’altro. La seconda è importantissima, forse più della prima. Non solo. Spesso la prima componente è completamente scissa dalla seconda. Azovstal rientra nella narrazione.

Come fa a dirlo?

Ma perché dal punto di vista dell’economia generale di un conflitto che vede coinvolte una nazione di 140 milioni di abitanti, un’altra di 44 milioni e centinaia di migliaia di combattenti da una parte e dall’altra su un fronte di oltre 2.500 km, Azovstal è un episodio minore.

Minore militarmente ma fondamentale nella narrazione?

Sì. La narrazione dell’eroica resistenza del popolo ucraino contro l’invasore. Azovstal è l’equivalente di Stalingrado, sulla quale Stalin ha costruito il mito della Grande guerra patriottica, che gli è servito per ottenere gli aiuti degli Alleati. Gli stessi che hanno consentito a Mosca di vincere. Su Stalingrado Stalin ha costruito Yalta.

E Azovstal è lo stesso?

Azovstal è una scelta politica, con una motivazione fondamentale: stimolare, sostenere e incoraggiare la resistenza del popolo ucraino. I combattenti asserragliati nell’acciaieria sono l’esempio di un popolo che non si vuole arrendere alla sopraffazione e all’ingiustizia. Possiamo condividerlo o meno, ma di questo si tratta.

Con i civili usati come scudi umani?

I civili usati come scudi umani, vittime dell’arroganza e della presunzione del presidente Zelensky, sono la narrazione dell’altra parte. Quella di Kiev è “Resistenza” come la intendiamo noi italiani: gli ucraini sono dalla parte della ragione e della libertà, i russi da quella dei nazisti.

(Federico Ferraù)

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