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Home » Cultura » Letture e Recensioni » MONTAGNA/ “Manes”: Da Tissi a Bonatti e Terray, le anime dei grandi ci parlano ancora

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MONTAGNA/ “Manes”: Da Tissi a Bonatti e Terray, le anime dei grandi ci parlano ancora

Alberto Trevissoi
Pubblicato 16 Febbraio 2025 - Aggiornato 18 Febbraio 2025 ore 21:13
La lapide di Attilio Tissi a San Simon, Vallada Agordina (foto Alberto Trevissoi)

La lapide di Attilio Tissi a San Simon, Vallada Agordina (foto Alberto Trevissoi)

“Manes”, di Mirco Gasparetto, ripercorre la storia dell’alpinismo attraverso 40 tombe di grandi della montagna, insieme ad alcune loro pagine

Ancora una volta cammino fino alla chiesa di San Simon, gioiello medievale e rinascimentale di Vallada Agordina, nel cuore delle Dolomiti venete. Si trova a un quarto d’ora a piedi da casa mia, meta ideale di una passeggiata col brutto tempo, e quando è appena nevicato non è raro vedere nei pressi le orme dei lupi. Mi fermo un minuto, come sempre, davanti alla lapide che ricorda Attilio Tissi. Fu protagonista negli anni Trenta del Novecento dell’epoca d’oro del sesto grado, prima che davanti alla Locanda della Stanga tra Agordo e Belluno uno spaventoso incidente in moto insieme a Domenico Rudatis (altro grande dell’alpinismo e della letteratura alpina) non ne interrompesse la carriera alpinistica estrema. Ma non la vita piena e avventurosa: partigiano, imprenditore, senatore della Repubblica. Vita che finì invece a 59 anni per un banale incidente in montagna mentre insieme alla moglie e un amico scendeva per una facile via in Lavaredo.


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Poco sopra la chiesa, nel commovente piccolo cimitero di San Simon, c’è la tomba di famiglia dove è seppellito. Qualche centinaio di metri più sotto una grande casa grigia chiara, la prima arrivando a Vallada, è da secoli quella della famiglia Tissi, in posizione strategica sopra al torrente Biois dove un tempo c’era la loro segheria.


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Non potevano mancare la lapide e la tomba di Tissi in Manes, libro prezioso e unico nel suo genere che Mirco Gasparetto, appassionato e studioso di montagne e alpinisti nonché caporedattore della bella e storica rivista Le Alpi Venete, ha pubblicato per Idea Montagna Edizioni (2024). Manes in latino sta per anime, fantasmi: ebbene, Gasparetto percorrendo tutte le Alpi fino alla Liguria e alle Apuane ci descrive 40 tombe di alpinisti notissimi o meno noti, restituendoci i loro ritratti e qualche loro pagina, come se fossero ancora ben vivi e ci parlassero.

Alcune sono in famosi cimiteri montani dove a ogni angolo sono seppelliti grandi cavalieri della montagna. Come quello di Macugnaga sotto al Monte Rosa, “una sorta di Père Lachaise in quota” come scrive Gasparetto, dove tra gli altri riposa Ettore Zapparoli, quel “Peter Pan adulto” (così lo definì Dino Buzzati) che percorreva in lungo e in largo l’immane parete est del Rosa finché essa non lo inghiottì nell’agosto del 1951, per restituire il suo corpo in fondo al ghiacciaio 56 anni dopo.


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O quello di Selva di Val Gardena – col suo incredibile registro metallico – che ospita tra gli altri Emilio Comici, re del sesto grado. O di Chamonix, eterno riposo di tanti grandi e piccoli alpinisti, compresi gli sventurati Henri e Vincendon, protagonisti a capodanno del 1957 sul Monte Bianco di una delle più terrificanti tragedie della storia alpinistica. Lì ci sono anche Edward Whymper, il conquistatore del Cervino, e Lionel Terray, autore tra l’altro nel 1961 del libro di alpinismo col più bel titolo di sempre, I conquistatori dell’inutile.

O ancora il cimitero di Courmayeur, dove ci si ferma a ogni passo per ricordare Adolphe Rey, Gabriele Boccalatte con Ninì Pietrasanta, Arturo Ottoz, Gigi Panei, Paolo Armando, Cosimo Zappelli. E Toni Gobbi, negli anni 50 primo cittadino ad essere accolto nel ristretto sodalizio delle guide di Courmayeur, alpinista di punta e pioniere dello scialpinismo in Italia, morto in modo assurdo in Dolomiti nel 1970, a 56 anni, per una microslavina sul piattissimo pendio del Sassopiatto.

Gasparetto ci accompagna a salutare (a San Michele in Isola nella Laguna di Venezia) Antonio Berti, indimenticabile autore delle prime guide dolomitiche della storica collana grigia Monti d’Italia Cai-Tci, “un vero e proprio romanzo storico, immortale, di cui si conoscono bene attori e trame, eppure succede sempre qualcosa di nuovo e inaspettato. E non si finisce mai di leggere”. Oppure Armando Aste, a Borgo Sacco vicino Rovereto: come dice Bepi Pellegrinon, insostituibile testimone di decenni di alpinismo e cultura dolomitica, “guarda che in Italia dopo Bonatti c’è stato lui. Anzi, forse è stato come lui”. In Civetta e Marmolada, anni 50 e 60, “irripetibili, i giorni grandi” dell’alpinismo.

Ed ecco Walter Bonatti appunto, che insieme all’amata Rossana Podestà sta dal 2013 nel piccolo cimitero di Portovenere, a picco sul Mar Ligure. A Pera, in Val di Fassa, ci si ferma  davanti alla lapide di Tita Piaz, il “Diavolo delle Dolomiti”, tanto in anticipo sui tempi che 90 anni fa già vagheggiava gli “Stati Uniti d’Europa”. Ad Altaussee, nell’austriaca Stiria, andiamo a visitare non solo il camposanto che ospita Paul Preuss – insuperabile campione dell’arrampicata libera, che in tutta la sua breve ma intensissima vita di scalatore piantò un unico chiodo e solo per assicurare un’amica – ma anche la casa di famiglia, dove oggi risiede il settantenne pronipote.

P.S. In attesa che Gasparetto magari ci porti in futuro a visitare altre lapidi di alpinisti, e se desiderate ancora leggere di rapporti tra le montagne e l’aldilà, raccomandiamo intanto un altro libro recentissimo, curato da Ines Millesimi e Mauro Varotto per Cierre Edizioni (2024), Sacre vette, I simboli sulle cime. Gli scritti di venti alpinisti, uomini di chiesa, intellettuali ragionano sui simboli del sacro (croci ma non solo) che da secoli stanno sulle vette e che negli ultimi tempi si trovano al centro di polemiche tra chi li ritiene insostituibili e chi li vorrebbe limitare se non eliminare. C’è anche una raccolta fotografica di queste opere su cime dolomitiche oltre i 3mila metri. Manca ahimè una delle più belle, la croce sulla Cima Grande di Lavaredo, ma solo perché il picco è alto “solo” 2999 metri…

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