Sergio Marchionne sta cercando il suo successore nel management Fca con la stessa buona volontà che Bertoldo profuse nella ricerca dell’albero al quale farsi impiccare: zero. Ma attenzione: non perché Marchionne abbia voglia di restarsene alla guida di una patata bollente chiamata Fca anche oltre il 2018. No: sa benissimo che la sua gestione – cui pure a famiglia Agnelli-Elkann deve due salvataggi della Fiat – sta rapidamente avvicinandosi a dei passaggi di fronte ai quali lo stretto di Scilla e Cariddi dell’Odissea diventa una passeggiatina di salute. E poi lo attende, come vedremo, una liquidazione senza precedenti nella storia del capitalismo. Quindi, andarsene vuole andarsene. Ma vorrebbe anche restare. Proviamo a spiegarci e capire cosa c’entra tutto questo con le clamorose dimissioni rassegnate da Richard Tobin dal posto cruciale di amministratore delegato di Cnh Industrial, segnato da un bel calo in Borsa dei titoli dell’azienda.
Dunque, riepiloghiamo sommariamente l’epopea-Marchionne. Insediato al Lingotto dal 1° giugno del 2004, è riuscito a estrarre dalle secche la Fiat rifilando alla General Motors il “pacco” del maxi-indennizzo astutamente trattato da Paolo Fresco nel caso in cui gli americani non avessero voluto onorare l’impegno a comprare la Fiat. Quindi Fresco era stato la mente, Marchionne è stato l’abile braccio. Primo salvataggio.
Secondo salvataggio, tutto pensato e attuato dal manager di origine abruzzese, educazione canadese, passaporto svizzero e pulloverino globale: l’acquisizione a zero dollari (non proprio, ma quasi) di quel colosso straordinario ma malaticcio che era il gruppo Chrysler, con dentro quel gioiellino chiamato Jeep: convincendo Obama e i sindacati americani dell’auto, Marchionne è riuscito nel miracolo di un rilancio che – avrebbe detto Michelangelo – “era già nel marmo”, cioè era nelle premesse macroeconomiche della Chrysler: ma resta il fatto che è stato bravo lui a concretizzarlo.
Dopo di allora, il tocco magico si è esaurito. L’azienda è rifiorita, senza dubbio, e ha visto il suo titolo risalire dai 2,5 euro del 2009 ai 16 di oggi. Straordinario. Ha macinato utili. Ha ottimizzato i costi. Eppure: non ha investito sui nuovi modelli; è rimasta al palo sull’auto elettrica; non ha sfondato in Cina; non ha mantenuto le promesse di espansione produttiva in Italia; e soprattutto non è riuscita a concludere l’ulteriore alleanza globale – magnifica preda, la General Motors, per il granitico “no” della lady di ferro Mary Barra – che ha perseguito.
Marchionne ha iniziato a far paura ai concorrenti, perché troppo bravo e troppo furbo. È rimasto isolato. Ha condiviso con l’azionista di riferimento del gruppo, John Elkann – che non è un manager industriale, e forse non ha neanche la forma mentis del condottiero, ma è furbo e determinato non meno del suo top-manager – un percorso che lo conducesse all’uscita nel corso di quest’anno, il quattordicesimo del suo regno torinese. Dicendo più volte, Elkann, che avrebbe cercato il successore migliore all’interno del gruppo: “In Fca abbiamo tantissime persone brave”, ha ripetuto varie volte il nipote dell’Avvocato. Ma si sa che con Marchionne ancora in trono, nessuno ha la benzina per svettare da solo.
Il capo della Fiat ha un ego gigantesco – e come s’è visto, giustificato – che ne ha fatto negli anni un trita-manager. Anche con la sua più stretta cerchia usa metodi che, se non avesse lasciato l’Italia nel ’66, avrebbero richiamato alla mente a lui stesso il mitico “Mega-Direttore Galattico” di fantozziana memoria. Cene forzatamente collettive, con ridicoli karaoke obbligatori a carico di padri di famiglia con capelli grigi, incapaci di dire di no. Licenziamenti in pubblico. Sarcasmi sadici. E tutto l’armamentario del capo cattivo e totipotente. Difficilissimo resistere. Ancor più difficile resistere per chi sia dotato di quel simmetrico amor proprio che connota quelli che hanno nello zaino – napoleonicamente parlando – il bastone del maresciallo.
Gli insider dicono che oggi il clima al sommo vertice della Fiat sia incandescente. Tutti uno contro l’altro, aspettando la chiamata dal Sommo Vertice di Elkann, su “expedit” di Marchionne. E qui ci si può ricollegare al caso di Richard Tobin, apprezzatissimo capo di Cnh Industrial, forse troppo indipendente per i gusti del capo. Quando qualche giorno fa erano circolate voci sulla possibile uscita di Tobin, Marchionne aveva detto di lui: “Sta benissimo là dov’è”. Mica tanto. L’altro giorno, l’uscita a sorpresa, e le lacrime di coccodrillo del boss: “Rich e io abbiamo lavorato insieme per oltre vent’anni in diverse aziende e settori industriali e gli auguro tutto il meglio per il prossimo capitolo della sua carriera. Una delle più importanti qualità di un leader, e di quelle che durano nel tempo, è lo sviluppo delle persone che guidi – ha aggiunto, autoelogiandosi – Rich ha lavorato duro nel costruire in Cnh Industrial una forte squadra, di cui fa parte Derek Neilson, che opererà come ceo ad interim mentre il consiglio d’amministrazione procederà all’individuazione di un nuovo ceo. Derek porta con sé una vasta esperienza sui prodotti e sul profilo geografico dell’azienda e assicurerà una transizione nella continuità mentre finalizziamo la nostra decisione sulla posizione di ceo, attraverso il processo di governance del consiglio di amministrazione”. Per la serie: Rich se ne va, e chi se ne frega.
I papabili al soglio di Marchionne sono oggi Alfredo Altavilla, amministratore delegato di Fca per Europa, Africa e Medio Oriente. Bravissimo, ma italiano, handicap per un gruppo globale ma basato in America com’è oggi Fca. Accreditati anche Mike Manley, il responsabile del marchio Jeep; e Richard Palmer, Chief Financial Officer: forse meno bravi, ma americani. Sarà uno di questi il successore di Marchionne? Il futuro è in grembo a Elkann.
E la liquidazione del boss? Si dice che sia la Ferrari, una quota non di controllo ma di riferimento. Possibile che il nipote dell’Avvocato si faccia soffiare dal suo sessantaseienne dipendente la perla del gruppo? Possibile, ma improbabile. Per questo la vicenda è appena agli inizi. E si può scommettere solo su una cosa: che i colpi di scena saranno ancora molti.