Testi densi di senso nell’album di Benvegnù e musiche che vanno dalle ballate pseudo orchestrali ai pezzi più pop, dagli slanci rock al jazz. La recensione di SIMONE NICASTRO
Chi scrive recensioni musicali di solito non utilizza espressioni esageratamente positive poiché dovrebbe essere consapevole che per comprendere e valutare un album al meglio (ma anche una sola canzone, in realtà) occorre un tempo di sedimentazione storica e cdi onseguente distacco emotivo. Questo al fine di evitare che il trasporto della novità, a volte aumentato dalla preferenza personale per l’artista in questione, non consenta un giudizio oggettivo che non tenga presente di tutte le circostanze di rito (contesto, radici estetiche, citazioni culturali e paragoni obbligati).
Con il peso specifico di questa premessa, penso sia però corretto dire fin da subito che il nuovo album di Paolo Benvegnù, “Hermann”, è un autentico capolavoro. Capolavoro come si possono considerare album quali “Discanto” di Ivano Fossati o “La Voce Del Padrone” di Franco Battiato o allo stesso modo “Linea Gotica” dei CSI o “Dentro Me” dei La Crus.
Esempi di come musica e testi a volte possano insieme creare forme artistiche di sublime bellezza. “Hermann” da oggi rappresenta un nuovo capitolo di questa lista di opere italiane uniche e difficilmente eguagliabili. Un album che si dichiara pubblicamente come colonna sonora di un film non realizzato: un film che racconta del mondo presente e passato, dell’uomo al centro della storia, ma incapace ancora di conoscersi fino in fondo, del bene così difficile da trattenere e del male che nasce, circonda e ferisce, delle voci incapaci di tacere e del cuore sofferente nella necessità di amare (e essere amato).
“Hermann” risulta impossibile da descrivere nelle sue parole perché troppi sono i rimandi alla tradizione letteraria, ai pensieri associativi, alle figure ancestrali, alle voglie sorprendenti, al sangue riverso, alla natura terrena e alla vita di ognuno. E le stesse parole giungono in modo diverso a chi è ancora disposto ad ascoltare senza pretendere di capire tutto o vedere solo confermate le proprie certezze.
L’arte esiste in quanto qualcuno dotato di talento riesce a “raccontare” di noi più di quanto riusciamo noi stessi; è il miracolo di trovarci improvvisamente stupiti della realtà (e oltre), di quello che i nostri occhi possono vedere, le orecchie sentire e le mani percepire; è la meraviglia a volte dolorosa di scoprire di quale sostanza sono fatti il nostro presente, le nostre emozioni e le nostre azioni.
Paolo Benvegnù e i suoi virtuosi compagni hanno esplorato i confini intorno e dentro di loro, all’umanità da cui provengono e ai mezzi che hanno a disposizione per esistere e creare. E poi ci hanno donato il risultato di tutto questo.
Musicalmente l’album non sfigura davanti alla meraviglia dei testi: impossibile (almeno per il sottoscritto) entrare nello specifico delle singole canzoni. Dalle ballate pseudo orchestrali ai pezzi più pop/orecchiabili, dai momenti di puro cantautorato all’elettronica minimale di stampo wave, dagli slanci rock alternative a brevissime illuminazioni jazzistiche.
“Hermann” non può essere “sentito” distrattamente, non è il sottofondo durante l’aperitivo, non è la chiave pseudo/intellettualistica del disagio esistenziale indie, non è lo stupido passatempo danzereccio di trentenni/quarantenni imbevuti di mojito, non è l’emo svilito da troppi urletti di inutili invettive.
Se donerete a “Hermann” la concreta possibilità di essere ascoltato questo vi ripagherà in maniera totale: troverete quello che vi piace e quello che non vorreste durasse, il sound che vi rappresenta intimamente e l’ostacolo meritevole di essere affrontato, la semplicità che vi corrisponde e il necessario sacrificio per gioire di voi e degli altri.
Troverete l’esatto luogo dove dovrebbe risiedere la vostra sensibilità. 13 canzoni e 13 storie vi aspettano per rapirvi e rendervi, se non migliori, per lo meno più consapevoli di chi potreste essere (e siete!) nei vostri gesti e desideri quotidiani. E in qualche modo anche più felici.
