CHRIS CACAVAS/ “Live in Italy”: dall’underground di L.A. a quello di Pavia

- Paolo Vites

Un disco registrato dal vivo a Pavia cinque anni fa per l'eroe americano dell'underground

Chris Cacavas Foto di Federico Sponza

Non c’è nulla di paragonabile a quello che si respira in un piccolo club, naturalmente se è un locale che ha una programmazione seria. Un piccolo club, come ad esempio lo Spaziomusica di Pavia, una lunga storia alle spalle costruita ospitando band e solisti di valore, americani e italiani, un’isola di resistenza alla banalità delle cover band o peggio degli avventori che vengono solo per far casino. Qua ci vengono vampiri che si svegliano solo al calar del sole in cerca di musica da bere per sopravvivere come fosse sangue. Dove le persone sanno rispettare silenzi e spazi tra una nota e l’altra, dove artista e spettatore si fissano negli occhi come a scambiarsi messaggi in codice. Dove il palco poco illuminato invita alle proprie visioni oniriche. In una sera del 2013 allo Spaziomusica di Pavia avvenne questo miracolo di esperienza condivisa. Salito sul palco come un sopravvissuto di tante canzoni incise con i vecchi gruppi di cui aveva fatto parte (Green on Red, Dream Syndicate) dimenticando per una sera di essere un tastierista professionista, estrasse una chitarra acustica dal suono sporco e garage e soprattutto lasciò andare la sua magnifica voce, ricca di tensione e oscurità. Con una manciata di canzoni che sarebbero state benissimo in un disco dei Rem degli anni 80, e gli interventi alla slide di Stiv Rudivelli, Cacavas quella sera aprì la porta e lasciò fluire all’interno del locale angeli e demoni.

Ed ecco “Driving Misery” e “Truth” dall’esordio del 1988; “Pale Blonde Hell” che dava il titolo al terzo disco (1990)”; “Bellyfull of bullets” da “New improved pain” di metà anni Novanta. E ancora, da un disco come “Anonymous” e dalle produzioni dei Duemila come “Bumbling home from the stars” (“California”) e del recente “Love’s been discontinued” (“Uncomplicated”, “The stage”) che allora era il suo ultimo disco. Infine una gemma dal miglior John Hiatt, “Lipstick Sunset” da classico Bring the family. Una fotografia in musica da ascoltare nelle notti di tormento, quando i fantasmi non vogliono restare chiusi fuori della porta. Come scrive brillantemente Edward Abbiati, compagno di Cacavas in tante avventure musicali, nelle note di copertina, “schiacciate il tasto play, abbassate le luci, chiudete gli occhi, tornate in quel piccolo club e lasciate che queste melodie vi portino dentro al cuore e all’anima di un uomo, la sua musica e la sua verità”.





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