Il giornalista Giorgio Gandola nei giorni scorsi ha svelato l’esistenza di alcune chat dal contenuto choc tra i medici del World professional association for transgender health (WPath). Il tema, ancora una volta, è il trattamento dei minorenni non binari dal punto di vista del percorso di transizione. I messaggi, che come riportato da La Verità sono stati inseriti in un report di 250 pagine, apparivano fin troppo disinibiti. I professionisti in sostanza davano per scontato che i pazienti trans che stavano trattando fossero, seppur in tenera età, convinti al 100% di ciò che stavano facendo, spesso anche senza avere affrontato un adeguato percorso psicologico.
“Ho effettuato 20 vaginoplastiche (l’intervento di costruzione dell’organo sessuale femminile su una persona biologicamente di sesso maschile, ndr) su pazienti under 18 e nessuno dei miei pazienti si è mai pentito della decisione”, raccontava un medico. È così che si parlava in modo disinibito di “rimozione dei capezzoli” e “asportazioni con preservazione”. Qualcuno sosteneva persino che i chirurghi debbano battersi contro l’argomentazione secondo cui “un minore non può esprimere il consenso all’intervento di transizione”.
“Nessun minore trans si pente dopo l’operazione”, polemica sulle chat dei medici
I medici del World professional association for transgender health (WPath) protagonisti delle chat choc sul trattamento dei minori trans ignorano insomma il fenomeno dei detransitioners, presente soprattutto negli Stati Uniti. I giovani che si pentono della propria scelta e decidono di tornare indietro infatti non mancano, tanto che psicologi e chirurghi sono finiti anche a processo con l’accusa di avere fortemente incoraggiato bambini e adolescenti a cambiare gender.
Il contenuto delle chat ha fatto infuriare Michael Shellenberger, giornalista americano e fondatore nel 2016 della Environmental progress (Ep), un ente no profit che si batte proprio per la difesa dei minori da queste pratiche. “Hanno sposato le cure per l’affermazione di genere”, li accusa chiedendo provvedimenti. La discussione sul “consenso informato” dunque va avanti. È possibile che i minori lo diano per una questione così importante oppure no? E se dovessero pentirsi?