Neuroni artificiali su microchip/ L’ultima frontiera per curare cervello e demenze
Allo studio dei neuroni artificiali su microchip, riproduzione hardware dei neuroni cellulari, che compongono il cervello: ecco le ultime novità

Scienziati e ricercatori sono al lavoro sui neuroni artificiali, veri e propri microchip “installati” direttamente nel cervello e che potrebbero aiutare a contrastare alcune malattie neurodegenerative come ad esempio le demenze. Tali patologie si verificano, come ricorda il Corriere della Sera, quando fra i vari neuroni si interrompono le comunicazioni, creando dei “buchi” nella rete cerebrale. Ebbene, tali intoppi potrebbero appunto essere riparati con dei neuroni artificiali su microchip, e in tal senso gli ultimi importanti risultati giungono da Firenze, dal congresso SIN-DEM (Associazione autonoma aderente alla Società Italiana di Neurologia per le Demenze).
I neuroni artificiali sono dei quadratini molto piccoli, di dimensioni 5 mm2, e gli esperimenti condotti fino ad oggi, hanno dimostrato che possono comportarsi come neuroni biologici. «Significa che sono impianti semplici da gestire, perché possono sfruttare le piccole correnti generate continuamente e fisiologicamente dai neuroni biologici per funzionare», sono le parole di Claudio Mariani, presidente ARD Onlus e già professore di neurologia all’Ospedale Sacco di Milano.
NEURONI ARTIFICIALI SU MICROCHIP PER RIPARARE IL CERVELLO: IL COMMENTO DEGLI ESPERTI
«L’obiettivo – ha proseguito – sarà far sì che i neuroni su chip siano auto-alimentati a bassa potenza, così da adattarsi al feedback fisiologico in tempo reale e da attivarsi autonomamente, appena innestati, sfruttando i potenziali elettrici delle reti neuronali presenti. Inoltre si tratta di sistemi che lavorano con una tecnologia analogica e quindi continua, non binaria come il digitale: tutti i sistemi biologici si basano su processi continui e aver scelto questa strategia significa poter mimare il comportamento di un neurone biologico con maggiore accuratezza. Oggi sappiamo che questi processori possono dialogare con i neuroni biologici perché «parlano» la stessa lingua, fatta di segnali elettrici; il prossimo passo sarà provarli per esempio su topolini che, modificati geneticamente, sviluppano l’Alzheimer, per capire se e come possano vicariare le funzioni dei neuroni danneggiati, consentendo performance di memoria migliori».
L’obiettivo futuro dei ricercatori è quello di rendere questi neuroni artificiali sempre più ridotti, fino alla dimensione di un capello, di modo da poterli impiantare nel cervello. «Speriamo di poter avere non solo un neurone artificiale funzionante una volta innestato nel cervello», aggiunge Leonardo Pantoni, vicepresidente ARD Onlus, direttore dell’Unità Complessa di Neurologia dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano e Professore Ordinario di Neurologia dell’Università degli Studi di Milano, «ma perfino reti di neuroni artificiali che potranno essere impiantate per esempio in aree colpite dalle placche amiloidi dell’Alzheimer o da altre patologie degenerative, per lavorare in parallelo con i circuiti rimasti e aiutare i neuroni biologici a continuare a svolgere i loro compiti».
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