Nel secondo trimestre 2010 aumenta la disoccupazione, a livello nazionale il tasso di disoccupazione raggiunge l’8,3% crescendo di un punto percentuale rispetto allo stesso periodo del 2009, scendendo però di 0,8 punti rispetto al trimestre precedente (nel primo trimestre 2010 era al 9,1%). La situazione è molto differenziata: nel nord est è al 5,5%, nel nord ovest al 6,2%, il centro è al 7,1% d infine il mezzogiorno è al 13,4% (fonte dati Istat).
L’uscita dalla crisi è iniziata, i dati degli ordinativi delle imprese lo dimostrano con chiarezza, ma il percorso non potrà essere né brevissimo, né lineare. Molte preoccupazioni stanno emergendo soprattutto sulla capacità di ripresa del dato occupazionale sia in termini assoluti sia sulla sua dinamica di sviluppo nel tempo. I mercati del lavoro sono molto differenziati a livello territoriale.
In Lombardia, una delle regioni più colpite dalla crisi soprattutto per la forte presenza sul territorio di aziende manifatturiere, il tasso di disoccupazione complessivamente è in crescita nel secondo trimestre 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009 (5,5% 2° trim. 2010 rispetto al 4,9% 2° trim. 2009 – anche in questo caso rispetto al primo trimestre 2010 il tasso di disoccupazione è in calo di 0,8 punti, era infatti al 6,3%). Rimanendo a livello lombardo, l’andamento delle dinamiche del mercato, osservate tramite i dati di flusso delle assunzioni, mostrano nel primo semestre 2010 una lieve crescita, pari al 3% rispetto allo stesso periodo del 2009, con un +17% nel comparto manifatturiero, certamente quello più colpito dalla crisi economica.
Il valore assoluto raggiunto è ancora distante da quello precedente la crisi, ma certamente è un evidente segnale di avvio di una fase, pur se lenta, di ripresa. È una ripresa con prospettive ancora poco definite, siamo in presenza di luci e ombre, una situazione che si ripercuote ad esempio sulle assunzioni, dove si assiste a un aumento della quota dei contratti flessibili rispetto a quelli permanenti (nel primo semestre 2010 la quota dei contratti flessibili è pari al 67%).
La crisi internazionale ha riportato l’attenzione, soprattutto nel nord del paese, sul tema dell’occupazione (fino a due anni fa di non elevato rilievo in presenza di tasso di disoccupazione tra il 3% e il 4%), e ha enfatizzato, rendendoli più espliciti, alcuni cambiamenti strutturali del mercato. Mi riferisco in particolare, alla dinamicità elevata del mercato e agli alti tassi di tournover. Una dinamicità particolarmente evidente dai dati relativi agli eventi che interessano i lavoratori (in Lombardia tra il 2004 e il primo semestre 2009 sono stati oltre 18 milioni le comunicazioni di avviamenti, cessazioni e proroghe di contratti di lavoro che hanno interessato oltre 4 milioni di lavoratori – fonte Osservatorio Mercato del Lavoro della Regione Lombardia) e un tournover che vede coinvolti sempre più lavoratori (tassi annui che in alcune regioni del nord arrivano a valori superiori al 30% e che in alcuni settori come il commercio e servizi si attestano al 38% circa).
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Questi elementi, precedenti la crisi, pongono degli interrogativi ai sistemi di tutele e di servizi che sono utilizzati nel nostro paese. Coniugare un mercato del lavoro così dinamico e con elevati livelli di flessibilità, con l’esigenza di sicurezza delle persone, diventa certamente una delle sfide più rilevanti per le politiche del lavoro.
Si possono in tale direzione identificare due, principali punti di attenzione, di cambiamento per le politiche per il mercato del lavoro: la struttura delle politiche, mi riferisco alla tipologia di interventi, a chi sono rivolti, alle condizioni di accesso per le persone e per le imprese; l’organizzazione dei servizi, modelli e regole di attuazione che implicano la definizione del rapporto tra soggetto che programma , delinea e valuta le politiche e i soggetti erogatori.
Durante la crisi sono state avviate azioni di sostegno alle persone e alle imprese, nuove nel panorama del nostro paese e che tracciano una traiettoria che va certamente approfondita. Lo stato e le regioni hanno ampliato le politiche di sostegno (sia come valore economico disponibile sia come target d’utenza potenziale) facendo cadere una barriera di protezione che prima della crisi interessava solo i lavoratori, maggiormente tutelati, e alcune imprese (soggetti che potevano usufruire di Cig e mobilità).
Tali interventi hanno, soprattutto in diversi contesti territoriali (la Lombardia con le politiche della dote lavoro è certamente uno di questi), integrato politiche passive di sostegno al reddito con politiche attive che prevedevano servizi per supportare e accompagnare le persone in difficoltà in un percorso di reinserimento nel mercato del lavoro. Le persone e le imprese sono state il centro delle politiche e non certe persone e certe imprese come era avvenuto sostanzialmente finora. È una esperienza, certamente positiva, che necessita di essere maggiormente ampliata e resa strutturale nella prospettiva di creare un modello di flexicurity adatto alla situazione del nostro paese; una flexicurity impermeata sulla crescita e la valorizzazione del capitale umano.
Dinamicità del mercato, flessibilità e tournover caratterizzano l’attuale mercato del lavoro e fanno sì che le persone si trovino a vivere, nel loro percorso lavorativo, l’esperienza del cambiamento (tra un lavoro e un altro, cambiamenti di settori, di qualifiche professionali, ecc.). Sono situazioni che richiedono maggior capacità di supporto e aiuto, soprattutto per i più deboli, nelle fasi critiche di passaggio. In tal senso si rende necessaria maggior trasparenza e accesso all’informazione, sulle opportunità lavorative, sulle possibilità formative, sui soggetti a cui è possibile rivolgersi per ricevere servizi.
Per questo occorre investire nello sviluppo di un sistema di servizi, che vada oltre i tradizionali e modelli, sostanzialmente burocratici e prescrittivi dei bisogni delle persone e delle imprese. Serve un sistema “sussidiario”, fondato sulla flessibilità, cioè capace di valorizzare e integrare le diverse competenze degli attori pubblici, privati – profit e non profit, capace di evolvere in funzione delle esigenze e dei bisogni delle persone. Per i diversi attori in gioco (Istituzioni, operatori, lavoratori, imprese), il sistema dei servizi, deve fondarsi su un patto fiduciario, sulla responsabilizzazione e sull’autonomia, sul riconoscimento e sulla conquista della leadership sul campo, sullo scambio tra dedizione e crescita professionale e umana.
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Quanto delineato va principalmente nella direzione di migliorare l’occupabilità, un’urgenza per il nostro paese. Occorre però affrontare anche un altro tema che è un’emergenza: creare nuova e maggiore occupazione. In tale direzione è necessario affiancare agli interventi proposti anche un forte e nuovo progetto di sviluppo economico per sostenere la crescita delle imprese. Senza un buon progetto di sviluppo sarà difficile affrontare le grandi sfide che il mondo moderno ci pone davanti.
Una sfida prima di tutto culturale, coscienti del fatto che, come diceva Marco Martini in uno dei suoi ultimi scritti, “la risorsa più rara della società contemporanea non è costituita dalla terra o dalle fonti energetiche, ma da uomini adeguatamente motivati a cercare liberamente di offrire risposte agli infiniti bisogni propri e degli altri e sostenuti da una solida cultura del lavoro libero”.