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Home » SPILLO/ Il “caos” dei numeri sul Jobs Act

SPILLO/ Il “caos” dei numeri sul Jobs Act

Giancamillo Palmerini
Pubblicato 17 Febbraio 2016
Inps_PalazzoR439

InfoPhoto

Ieri l'Inps ha comunicato i dati sui contratti di lavoro del 2015. Commentandoli, GIANCAMILLO PALMERINI fa notare una "dissonanza" con quanto recentemente segnalato dall'Istat

A ormai oltre due anni dall’approvazione del primo decreto delegato, era quello sulle cosiddette “tutele crescenti”, del Jobs Act siamo sempre alla “guerra” dei numeri tra “gufi” e “riformisti” sugli effetti, più o meno rilevanti, della riforma renziana del mercato del lavoro. Ha festeggiato, inoltre, il primo compleanno la misura di decontribuzione che, però, in questo suo secondo anno di vita è stato significativamente ridotto.


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A sparare le proprie cartucce questa settimana e la “Super-Inps” guidata da Tito Boeri, che ha pubblicato proprio ieri il periodico rapporto sul precariato. Emerge, così, almeno secondo tale studio, che nel 2015 il numero complessivo delle assunzioni (limitatamente a quelle attivate da datori di lavoro privati) è risultato pari a 5.408.804, segnando una netta crescita rispetto agli anni precedenti (+11% sul 2014 e +15% sul 2013).


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Tale crescita è stata, secondo l’Inps, determinata essenzialmente dai contratti a tempo indeterminato: le relative assunzioni sono risultate, infatti, quasi 1,9 milioni, segnando un incremento del 47% rispetto al 2014. Quelle a full time sono, tuttavia, meno del 60%: una percentuale comunque in linea con quella degli anni precedenti.

Si sottolinea come sia, altresì, rimasto sostanzialmente stabile il numero di assunzioni con contratti a tempo determinato, mentre sono, ahimè, diminuite le assunzioni in apprendistato (-20%). Un dato, questo, particolarmente significativo perché sottolinea, ancora una volta, come tale istituto sia visto dal nostro sistema di imprese solo come un facile escamotage per ridurre i costi del lavoro più che per il suo importante valore formativo.


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Si può, quindi, complessivamente registrare come, a fine 2015, sempre secondo l’Inps, siamo di fronte a un saldo tra assunzioni e cessazioni pari a 606 mila. A questo risultato ha certamente contribuito la crescita dei posti di lavoro dipendente trainata, in particolare, dall’incremento dei contratti a tempo indeterminato (+764.000 rispetto a fine 2014), sia direttamente che quelli frutto di trasformazioni. 

Per quanto riguarda l’insieme delle posizioni di lavoro con contratti diversi dal tempo indeterminato si registra, infatti, sempre nel confronto con la situazione a fine 2014, una modesta contrazione (-158.000 posizioni di lavoro). Una dinamica dovuta, sempre secondo l’Inps, non a una flessione della complessiva domanda per tipologie contrattuali diverse dal tempo indeterminato, quanto alla crescita delle trasformazioni verso questa tipologia.

È bene ricordare, tuttavia, per completezza d’informazione, come, solo poche settimane fa, l’Istat avesse sostenuto che a dicembre 2015, rispetto a dicembre 2014, i lavoratori dipendenti fossero cresciuti dell’1,5% (+247 mila), spiegando che mentre quelli con un lavoro “fisso” erano aumentati di solo lo 0,9% (+135 mila), molto più significativo era stato l’aumento di quelli a termine del 4,9% (+113 mila).

In attesa, insomma, di un sistema serio e stabile, degno di un Paese normale quale dovremmo essere, sarebbe forse il caso, com’è stato peraltro già proposto, di decidere un vero e proprio embargo dei numeri. Il Paese perderebbe, probabilmente, anche qualche migliaia di appassionanti scambi di tweet, tra gufi e riformisti, ma questo potrebbe (o perlomeno sarebbe auspicabile che fose così) aiutare una discussione e una valutazione, più serena e nel merito, degli effetti delle riforme del Governo Renzi.


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