Dati ISTAT, aumenta il tasso di occupazione, che sale al 62,8%. Ma la parte del leone la fanno gli over 50. Occorre pensare qualcosa per i giovani

A luglio 2025 sono aumentati gli occupati rispetto all’anno scorso e al mese precedente. Lo riporta ISTAT che ha pubblicato i dati provvisori il primo di settembre.

Cresce ancora il tasso di occupazione che si porta al 62,8% (+0,1% rispetto al mese prima e 0,5% rispetto all’anno prima). Cresce anche il tasso di inattività che arriva al 33,2%, in crescita rispetto al mese prima (+0,2) e in discesa rispetto all’anno prima (-0,1%). Incide su questo dato il fatto che a luglio (e anche ad agosto) molti disoccupati dichiarano che non sono disponibili a lavorare nelle due settimane successive (ebbene si: anche i disoccupati vanno in ferie), il che tecnicamente li sposta nel gruppo degli inattivi. Li vedremo tornare alla ricerca attiva del lavoro fra fine agosto e a settembre, per il momento il tasso di disoccupazione si riduce al 6%.



Gli occupati permanenti (a tempo indeterminato o equivalente) sono l’86,5% di tutti i dipendenti. Dipendenti permanenti e a termine sono entrambe in crescita, mentre sono in leggero calo gli indipendenti, che comunque restano al di sopra del 21% degli occupati totali, come negli ultimi 4 anni di rilevazioni.

La crescita occupazionale è ancora sostenuta in gran parte dagli over 50. La variazione tendenziale osservata vede gli occupati fra i 50 e i 64 anni crescere del 3,2% mentre calano dell’1,8% gli occupati fra i 35 e i 49 anni. Al netto della componente demografica, il tasso di crescita degli over 50 è comunque al 2,3%, visto che si tratta di una classe numerosa, mentre il tasso dei lavoratori fra i 35 e i 49 anni, una classe meno numerosa e in calo, si corregge al rialzo del +0,3%. Nessuna buona notizia per i giovani fino a 34 anni: calano gli occupati osservati, dello 0,5% e calano dello 0,7% tenendo conto dell’andamento demografico; prevalentemente i giovani non diventano disoccupati, ma diventano inattivi, in crescita del 2,4 / 2,3%.



Insomma a sostenere la crescita occupazionale sono ancora i senior, probabilmente perché sono una classe numerosa e in condizione di lavorare ancora a lungo, e poco attratta dalle formule di uscita anticipata dal lavoro in offerta, che penalizzano chi esce in anticipo e consegnano pensioni basse velocemente erose dall’inflazione. A parte le acrobazie della politica, una vita lavorativa più lunga che mette insieme redditi da pensione e da lavoro fino ad età avanzate è una realtà in crescita e che sarebbe da favorire per tenere in equilibrio i conti pubblici.

Come riassumere la situazione? Mercato in crescita, trascinato dai senior, prezzi dei beni di prima necessità in crescita. Ne risultano salari individuali dal potere d’acquisto ridotto, ma un numero maggiore di persone che lavorano, con un numero stabilmente alto di contratti a tempo indeterminato, non intaccato dagli sconti fiscali consistenti ottenuti dagli autonomi in regime forfettario.



Probabilmente questa è la sintesi di quanto accaduto dopo 10 anni di jobs-act, l’unica recente riforma sistematica del mercato del lavoro. Al di là delle rivendicazioni di successo dei governi che si sono succeduti nel tempo, giova ricordare che le norme sono una conseguenza dei cambiamenti dell’economia e della società che in un determinato momento storico si trovano ad avere bisogno di meno vincoli per poter crescere. Dopo 10 anni ci si può porre la domanda se ci servano strumenti nuovi in un mondo che cambia i suoi assetti politici e di potere, con un welfare sempre più difficile da sostenere, ma con i dati positivi del mercato del lavoro nessuno ha veramente voglia di pensarci su.

 

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