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Home » Lavoro » OCCUPAZIONE & SALARI/ I trend di crescita (per le fasce medio-basse) di cui si parla poco in Italia

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OCCUPAZIONE & SALARI/ I trend di crescita (per le fasce medio-basse) di cui si parla poco in Italia

Vincenzo Caccioppoli
Pubblicato 24 Luglio 2025
Ansa

Ansa

In Italia cresce l'occupazione, ma c'è anche un incremento dei redditi, specie per le fasce medio-basse

I dati economici spesso vanno interpretati bene per evitare che possano essere sottoposti a strumentalizzazioni politiche che inficiano il dato crudo che emerge dalle fredde analisi economiche. Uno dei dati che in questo periodo crea forse le maggiori polemiche è quello che riguarda il livello dei salari italiani.

La sinistra li considera, non del tutto a torto, ancora troppo bassi (ma lo sono da decenni e non certo da quando Giorgia Meloni è a palazzo Chigi), mentre la maggioranza, anche in questo caso non del tutto a torto, rivendica il fatto che gran parte della crescita record dell’occupazione sia dovuto alle misure fiscali e a quelle sul lavoro adottate. Ma se l’incremento senza precedenti dell’occupazione (quella femminile ha raggiunto il massimo storico) è evidente, meno chiara invece a una prima analisi dei vari dati pubblicati recentemente da Ocse, Inps e Istat, appare la rivendicazione da parte del Governo di una crescita anche del potere di acquisto delle famiglie.


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Penso occorra fare un inciso e cercare di analizzare con la maggiore obiettività possibile i dati che si evincono, per esempio, dal rapporto dell’Ocse del 2025 e poi da quello dell’Inps presentato alla Camera dei deputati il 16 luglio. Ebbene, secondo l’Ocse, all’inizio del 2025 i salari reali in Italia erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021. Va detto, innanzitutto, che si tratta di un dato che risente sostanzialmente di due fattori: l’elevata inflazione del biennio 2022-2023 e la ridotta dinamica salariale (retribuzioni contrattuali) che da anni affligge l’Italia e che, dal 2023, ha fatto registrare notevoli miglioramenti.


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Come riportato dall’Istat nel Rapporto annuale 2024, nel triennio 2021-2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3% (oltre il 15% considerando il solo biennio 2022-2023). Nello stesso periodo, le retribuzioni contrattuali, quindi i salari nominali, sono cresciuti rispettivamente dello 0,6%, dell’1,1% e del 2,9%, per un aumento complessivo nel triennio del 4,7%. È proprio in questo triennio che si è accumulato il gap evidenziato dall’Ocse, sul quale ha inciso particolarmente il 2022, anno nel quale si è registrata una differenza di 7,6 punti percentuali tra andamento dell’inflazione e dei salari nominali.


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I dati dell’Inps rafforzano, da un lato, quelli dell’Ocse per quanto riguarda i salari lordi, che rispetto all’inflazione sarebbero in calo del 9,1% (aumento delle retribuzioni dell’8,3% e aumento dei prezzi al 17,4% dal 2109 al 2024). Ma anche qui, come detto, i dati vanno interpretati e non giudicati allo stato grezzo. E se si analizza il dato dell’Inps in rapporto ai redditi netti (che poi sono quelli che contano davvero per lavoratori e famiglie) il risultato cambia e non di poco.

Infatti, se si tengono in giusto conto le politiche fiscali del Governo (decontribuzione e taglio dell’Irpef), l’aumento dei redditi medio-bassi arriva al 16,9%. L’Inps indica anche come ci sia stato un aumento di assicurati di ben 1,5 milioni di unità nel periodo considerato e questo riflette il dato sull’occupazione che ha raggiunto in questi ultimi due anni livelli record.

Dunque, tutto bene? Assolutamente no, ma non è nemmeno tutto nero come qualcuno vorrebbe far credere. Le politiche del Governo Meloni, in un quadro congiunturale tutt’altro che favorevole (basta guardare cosa sta accadendo in questi giorni in Francia, a serio rischio di default e costretta a rinunciare alla festività del lunedì santo per far quadrare i bilanci), stanno comunque avendo un impatto positivo sull’occupazione, e questo pare ormai riconosciuto da tutti, ma anche sul potere di acquisto delle famiglie, e questo è un dato invece molto meno condiviso.

Ma se non bastasse questo per far capitolare le cassandre di cui il nostro Paese è notoriamente ben fornito, a maggio anche il Bollettino della Banca d’Italia ha riconosciuto come il reddito disponibile delle famiglie sia in crescita:

“Nel 2024 in Italia il reddito disponibile delle famiglie ha continuato a espandersi, sebbene meno che nell’anno precedente per la forte decelerazione dei redditi da lavoro autonomo e da proprietà; si è mantenuto invece sostenuto l’andamento di quelli da lavoro dipendente, sospinto sia dalla dinamica dell’occupazione sia da quella delle retribuzioni. Le misure pubbliche di sostegno hanno continuato a essere rivolte principalmente alle famiglie a basso reddito e a quelle con figli, per le quali il rischio di povertà è maggiore.

Grazie alla marcata riduzione dell’inflazione, il potere d’acquisto è tornato a crescere dopo la leggera contrazione del biennio precedente”. Ma ad aumentare è stata anche la ricchezza delle famiglie, cresciuta di pari passo con il reddito disponibile.

Con questo certo non si può e non si vuole dire che in Italia non esista un serio problema di salari bassi e di basso potere d’acquisto delle famiglie, ma allo stesso modo non si può negare che le politiche economiche e fiscali del Governo siano state rivolte soprattutto ad aiutare le fasce più deboli della popolazione. E questo dato viene anche confermato da una recente analisi effettuata dall’Università Luiss di Roma, che ha certificato come la fiducia nell’economia da parte delle famiglie a medio-basso reddito sia in forte crescita in questi ultimi due anni.

Ma quello che forse non si vuole comprendere, soprattutto dalle parti delle opposizioni, è che il problema del lavoro e dei salari è legato molto anche alla bassa produttività, una criticità atavica che è difficile risolvere con le sole politiche di stimolo che un Governo può mettere in campo. La stessa bassa produttività che tormenta da anni la Spagna (Paese spesso indicato in maniera arbitraria a modello da certa sinistra), dove vige un salario minimo più alto di quello proposto dalla sinistra italiana, ma che non ha certo risolto i problemi dell’occupazione che ha tassi ben più bassi che in Italia e nemmeno quello del potere di acquisto delle fasce più deboli della popolazione.

Il potere di acquisto in Spagna delle famiglie nel 2024, infatti, seppur in crescita rispetto al 2023, era ancora di circa il 4% sotto la media europea. Ed è per questo che in molti casi i dati bisogna saperli analizzare in tutte le loro componenti e con lo spirito più critico possibile, altrimenti si fa solo propaganda spicciola.

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Tags: InpsGiorgia MeloniInflazioneGoverno Meloni

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