Omicidio Simonetta Cesaroni, il delitto di Via Poma a Speciale Tg1: chi l'ha uccisa? Dopo 35 anni nuove indagini per risolvere il cold case
L’omicidio di Simonetta Cesaroni è ancora un mistero, ma sul caso i riflettori restano accesi. Infatti, oggi va in onda in seconda serata lo Speciale Tg1 sull’impiegata di 20 anni che venne uccisa a coltellate il 7 agosto di 35 anni fa, nel quartiere Prati a Roma.
Nonostante indagini e processi, il caso è rimasto irrisolto. Infatti, c’è un’istruttoria aperta tre anni fa dalla Commissione Antimafia, ma ancor più recente è la decisione del gip di Roma, che nei mesi scorsi ha respinto l’archiviazione e indicato da dove ripartire con la nuova indagine.
Simonetta Cesaroni lavorava per qualche giorno a settimana alla contabilità dell’Aiag, tramite un incarico esterno di uno studio di ragioneria. L’allarme scattò quando non fece rientro a casa: il suo datore di lavoro, Salvatore Volponi, raccontò di non sapere neppure l’indirizzo dell’ufficio dove lavorava la ragazza, rallentando di fatto le ricerche. Il cadavere venne scoperto solo a tarda sera. La scena, peraltro, sembrava artefatta; non lo era, invece, la brutalità con cui era stata uccisa.

Gli investigatori si mossero in maniera incerta, puntando in primis sul portiere dello stabile, Pietrino Vanacore, che non riusciva a spiegare cosa stesse facendo nell’orario compatibile con il delitto di via Poma. Nonostante venisse scarcerato per mancanza di prove, per anni visse sotto pressione, fino al 2010, quando si tolse la vita prima di testimoniare nel processo contro un altro indagato, Raniero Busco, che all’epoca era fidanzato della vittima.
OMICIDIO SIMONETTA CESARONI, UN MISTERO LUNGO 35 ANNI
Condannato in primo grado a 24 anni di carcere, Raniero Busco venne poi assolto in appello e in Cassazione: un altro risvolto clamoroso di una vicenda che si chiuse con l’assoluzione definitiva, perché non emersero elementi biologici, un possibile movente o compatibilità con la scena del crimine.
Non mancarono altre piste, come quella che portava a Federico Valle, parente del costruttore dello stabile di via Poma, venuto meno dal novero dei sospetti grazie al Dna. Nel tempo sono emersi altri nomi, come quello dell’avvocato Caracciolo di Sarno, presidente del comitato Lazio dell’Aiag, indicato come figura da approfondire per presunti dubbi sul suo alibi e per le confidenze di alcuni testimoni, secondo i quali era presente nello stabile il giorno del delitto. Ma il gip ha chiesto verifiche anche sul notaio Guerritore, auspicando approfondimenti sul suo alibi.
In generale, non è mai stata trovata l’arma del delitto. Il tagliacarte sequestrato all’epoca non è risultato compatibile con le ferite inflitte a Simonetta Cesaroni. Uno degli aspetti più inquietanti del delitto di via Poma è proprio l’ambiente: il palazzo non era deserto, come era emerso inizialmente. Anzi, quello stabile è finito al centro di sospetti su attività collaterali.
DAL MOVENTE AGLI ALTRI ASPETTI IRRISOLTI
Anche il movente del delitto di via Poma è rimasto misterioso, perché non è mai emerso un motivo per spiegare l’omicidio di Simonetta Cesaroni. Una delle ipotesi è che avesse rifiutato un approccio sessuale da parte di qualcuno che conosceva.
Ma ci sono diversi dettagli che destano dubbi e perplessità: come il noto Ignoto 1, il sangue maschile trovato sulla scena e mai attribuito a nessuno; le macchie sull’ascensore e nei lavatoi del palazzo; le gocciolature mai esaminate dietro la testa della vittima; le cicche di sigarette trovate nell’ufficio nei giorni precedenti, appartenenti a più fumatori; l’assenza dell’arma del delitto; i vestiti portati via; il computer da tavolo che usava la vittima, che aprirebbe la finestra temporale del delitto tra le 17:00 e le 17:30.
Ma a far discutere, in tutti questi anni, è sempre stata la gestione delle indagini: tra piste abbandonate e prove non repertate, campioni mai confrontati con i profili degli indagati. Il giudice per le indagini preliminari, lo scorso dicembre, ha ordinato una nuova indagine sull’omicidio di Simonetta Cesaroni, lamentando una “grave” mancata verifica degli alibi e delle tracce, disponendo anche nuove analisi scientifiche.
Il caso è stato ufficialmente riaperto, nella speranza che, dopo 35 anni, si possa fare luce su uno dei misteri della cronaca nera italiana.
