L’origine naturale del Covid non è solo la tesi più semplice, ma è anche quella che ha maggiori prove, mentre non ve ne sono per quella dell’origine in laboratorio o della fuga da esso. È la conclusione a cui è giunto uno studio a cui hanno collaborato ricercatori australiani, canadesi, statunitensi, britannici e neozelandesi, e che è stato pubblicato sulla rivista scientifica Cell. Attualmente non ci sono prove che il nuovo coronavirus abbia origine di laboratorio, né che i primi casi abbiano un collegamento con il Wuhan Institute of Virology, invece “c’è un sostanziale corpo di prove scientifiche che supportano un’origine zoonotica”. La ricerca non scarta del tutto la possibilità di un incidente di laboratorio, pur precisando che è quasi possibile da verificare, ma ritiene che sia improbabile rispetto “ai numerosi e ripetuti contatti uomo-animale che si verificano abitualmente nel commercio della fauna selvatica”. Il problema è un altro, cioè che “l’incapacità di indagare in modo completo sull’origine zoonotica attraverso studi collaborativi e attentamente coordinati”, perché questo “lascerebbe il mondo vulnerabile a future pandemie derivanti dalle stesse attività umane che ci hanno ripetutamente messo in rotta di collisione con nuovi virus”.
Quali sono gli indizi presi in esame nello studio? In primis la storia epidemiologica del Covid, che è paragonabile ai precedenti focolai di coronavirus. “La tracciabilità dei contatti della SARS-CoV-2 nei mercati di Wuhan mostra sorprendenti somiglianze con la prima diffusione della SARS-CoV nei mercati di Guangdong”. I ricercatori ribadiscono che non ci sono prove che il Wuhan Institute of Virology possedesse o lavorare su un progenitore di Sars-CoV-2 prima della pandemia. Non ci si può quindi basare solo sulla “coincidenza che sia stata rilevata per la prima volta in una città che ospita un importante laboratorio virologico che studia i coronavirus”.
ORIGINE COVID, LE PROVE SULL’ORIGINE NATURALE
Il legame con Wuhan, dunque, per gli studiosi è rappresentato dal fatto che “gli agenti patogeni spesso richiedono aree molto popolate per stabilirsi”. Ma uno dei motivi per cui non si esclude l’ipotesi del virus creato in laboratorio o sfuggito dallo stesso è la mancanza della specie intermedia, quella che ha portato al salto di specie. “Tutti i precedenti coronavirus umani hanno origini zoonotiche”. E il nuovo coronavirus porta le ‘firme’ di questi precedenti eventi. Infatti, ha somiglianze con Sars-CoV. Ma ha anche delle somiglianze con quattro coronavirus umani endemici: HCoV-OC43, HCoV-HKU1, HCoV-229E e HCoV-NL63. Inoltre, anche se il virus RaTG13, campionato in un pipistrello nello Yunnan, ha la più alta somiglianza genetica con il nuovo coronavirus, “i dati dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio che RaTG13 non è il progenitore di SARS-CoV-2, con o senza manipolazione di laboratorio o mutagenesi sperimentale”. Non mancano sicuramente i precedenti per quanto riguarda incidenti di laboratorio, ma “nessuna epidemia è stata causata dalla fuga di un nuovo virus e non ci sono dati che suggeriscano che il WIV – o qualsiasi altro laboratorio – stesse lavorando sulla SARS-CoV-2, o qualsiasi virus abbastanza vicino da esserne il progenitore, prima della pandemia COVID-19”. I ricercatori precisano che il sequenziamento genomico virale che veniva eseguito presenta rischi trascurabili, in quanto i virus vengono inattivati durante l’estrazione dell’RNA. “Nessun caso di fuga dal laboratorio è stato documentato in seguito al sequenziamento di campioni virali”. E se fosse sfuggito contagiando uno scienziato? “Non sono stati segnalati casi legati al personale di laboratorio del WIV e tutto il personale del laboratorio del Dr. Shi Zhengli è stato dichiarato sieronegativo per la SARS-CoV-2 quando è stato testato nel marzo 2020”.
STUDIO CONTRO IPOTESI CREAZIONE IN LABORATORIO
Il Wuhan Institute of Virology ha un ampio catalogo di campioni da pipistrelli e ha coltivato con successo tre Sarsr-Cov da pipistrelli, ma sono tutti e tre più strettamente connessi al primo che al nuovo coronavirus. “Al contrario, il virus del pipistrello RaTG13 del WIV non è mai stato isolato né coltivato ed esiste solo come sequenza nucleotidica assemblata da brevi letture di sequenziamento”. Per quanto riguarda le ricerche sul gain-of-function, non sono stati usati backbone genetici correlati al Sars-CoV-2 e infatti “non presenta alcuna prova di marcatori genetici che ci si potrebbe aspettare da esperimenti di laboratorio”. Inoltre, il gruppo di ricercatori ritiene che non ci sia alcuna “ragione sperimentale razionale per cui un nuovo sistema genetico verrebbe sviluppato utilizzando un virus sconosciuto e inedito, senza alcuna prova né menzione di un virus simile al SARS-CoV-2 in alcuna pubblicazione o studio precedente del WIV”. Così come non ci sono prove che sia stato sequenziato un virus vicino a Sars-CoV-2. Inoltre, si sarebbero dovuti infettare gli animali da laboratorio, come i topi, che invece non risultano infettati.
Quindi, la bassa patogenicità negli animali da laboratorio comunemente usati e l’assenza di marcatori genomici associati all’adattamento dei roditori indicano che è “altamente improbabile che SARS-CoV-2 sia stata acquisita dai lavoratori di laboratorio nel corso della patogenesi virale o degli esperimenti di gain-of-function”. Per i ricercatori anche le mutazioni emerse del Covid confermano l’origine naturale. Queste aumentano l’infettività virale, “confutando le affermazioni che la proteina spike della SARS-CoV-2 sia stata ottimizzata per il legame con ACE2 umano al momento della sua comparsa”. Per quanto riguarda il sito di scissione della furina, ritengono che non ci sia “alcuna ragione logica per cui un virus ingegnerizzato dovrebbe utilizzare un tale sito subottimale di scissione della furina, che comporterebbe un’impresa di ingegneria genetica così insolita e inutilmente complessa”.