La storia di Shagufta Kausar: incarcerata in Pakistan per via della sua fede cattolica, è stata salvata dalla prigionia dalla sua fede nel Signore
Partito – come moltissimi altri casi simili, purtroppo – dal Pakistan, il caso di Shagufta Kausar ha fatto rapidamente il giro del mondo attirando anche l’attenzione dei Paesi Bassi che hanno esortato l’Unione Europa affinché esercitasse pressioni sul governo pakistano per ottenerne la liberazione: un caso che testimonia perfettamente la persecuzione religiosa in atto alle porte di Islamabad nel silenzio generale della comunità internazionale; ma sotto il costante occhio attento dell’associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Proprio quest’ultima, infatti, ha recentemente raccontato la storia di Shagufta Kausar in occasione della pubblicazione del suo ultimo rapporto sulla libertà religiosa nel mondo: una storia che parte nel 2013 quando la donna – ovviamente di fede cattolica – fu improvvisamente arrestata dalle autorità del Pakistan assieme al marito (peraltro disabile) Shafqat Emanuel, accusati di blasfemia per aver inviato – racconta l’associazione – un presunto messaggio compromettente al presidente dell’Ordine degli avvocati.
Messaggio – assicura la donna – che non ha mai inviato, al punto che neppure avrebbe il numero di telefono del presunto destinatario, spiegando che si trattava semplicemente di una “persecuzione a causa della mia fede” da parte del governo pakistano: la prigionia – racconta ancora la donna – sarebbe stata particolarmente dura, segnata da violenze di ogni tipo, percosse e insulti da parte dei carcerieri e caratterizzata anche da una brutta malattia.
La storia di Shagufta Kausar: incarcerata in Pakistan per la sua fede, è stata salvata dal Signore dopo otto anni
Infatti in quella prigione del Pakistan Shagufta Kausar racconta di aver sviluppato gravi disturbi psichiatrici tali da impedirle di parlare, confessando di essersi rivolta con tutta la sua anima “al Signore” affinché le fesse “una possibilità di vita” per rivedere i suoi figli: fu in quel momento che vide “la croce e il Signore” riuscendo miracolosamente a “guarire” e a trovare la forza per rialzarsi e reagire alla difficile situazione.
Non solo, perché la donna ricorda anche che le fu chiesto di rinnegare Dio per ottenere la liberazione, ma lei – fermamente – decise di rifiutare perché “Gesù è morto sulla croce per i miei peccati e mai l’avrei rinnegato“; mentre tutto cambiò quando “stavo leggendo gli Atti degli Apostoli, dove Paolo e Sila sono in prigione e un terremoto aprì le porte”, avvertendo in quell’esatto momento sotto i suoi piedi “un vero terremoto” che poco dopo si è trasformato nell’azione di mediazione in Pakistan promossa dei Paesi Bassi che – dopo otto lunghi anni di prigione – gli ha permesso di tornare in libertà.