La Banca centrale europea potrebbe essere arrivata ad un punto di svolta, perché la presidente Christine Lagarde ha lasciato intendere per la prima volta che il forte aumento dei tassi di interesse potrebbe finalmente fermarsi. Di sicuro è di questo avviso Fabio Panetta, uno dei sei membri del Comitato esecutivo della Bce, il quale in un’intervista a Le Monde ha spiegato che non si è lontano dalla fine del rialzo dei tassi, pur non nascondendo neppure il timore che questo sia l’anno di una recessione tecnica per l’Eurozona. “L’inflazione è troppo alta, ma non c’è motivo di preoccuparsi. Stiamo facendo tutto il possibile per portare l’inflazione al 2% e ora sta rallentando“, dichiara Panetta. Di sicuro gli aumenti dei tassi finora hanno reso più costosi i prestiti bancari, con ripercussioni sugli investimenti di imprese e famiglie. “Ma la politica monetaria ha tempi piuttosto lunghi e ci vogliono diversi trimestri perché i suoi effetti reali si facciano sentire nell’economia reale e si trasmettano all’inflazione“.
Potrebbe volerci tempo per vedere l’inflazione ad un livello ragionevole: “Le nostre ultime proiezioni indicano un’inflazione intorno al 3% all’inizio del 2024 e vicina al 2% nel 2025, senza ovviamente tenere conto di eventuali nuovi shock“. D’altra parte, Bce parla di un ritorno dell’inflazione al 2% dall’autunno 2021. Nonostante ciò, Fabio Panetta ribadisce che l’intenzione è quella di continuare ad agire fino a quando non si avrà un’inversione di rotta convincente. “Nessuno aveva previsto le gravi strozzature nelle catene logistiche, la guerra in Ucraina o la manipolazione delle forniture energetiche da parte della Russia. Senza questi eventi imprevisti, saremmo in un mondo completamente diverso e l’inflazione sarebbe molto più bassa“, spiega l’ex direttore generale di Bankitalia.
“AUMENTO TASSI? EVITARE MOVIMENTI VELOCI”
“L’inflazione è stata in gran parte causata dalle strozzature e dalla guerra, non dalla politica monetaria“, prosegue Fabio Panetta a Le Monde. L’economista nega che l’aumento dei tassi di interesse possa soffocare la piccola crescita della zona euro. “Abbiamo aumentato i tassi di interesse per evitare che l’inflazione attecchisca. La buona notizia è che l’economia europea non è entrata nella profonda recessione che molti avevano previsto, perché la riduzione dei prezzi dell’energia è stata più rapida del previsto e perché le politiche fiscali hanno fornito sostegno“. Ma la stretta monetaria si farà sentire a detta del membro del Comitato esecutivo della Bce, motivo per il quale non esclude che la domanda interna resti debole e che ciò si traduca “in un prolungato rallentamento dell’attività o addirittura in una recessione tecnica nell’eurozona“. A fronte dell’incertezza attuale, è difficile prevedere per Panetta il livello finale dei tassi, perché lo si decide alla luce dei dati economici, riunione dopo riunione. Ma c’è un orientamento: “Non credo che sia il momento di muoversi troppo velocemente, perché abbiamo già fatto molta strada. Non abbiamo ancora raggiunto la destinazione finale, ma non siamo lontani da essa“.
“MODELLO EUROPEO DEVE CAMBIARE”
Presto, dunque, il dibattito si sposterà dal mantenimento nel tempo dei tassi di interesse. Per quanto riguarda il modello europeo, le cose stanno cambiando perché prima era basato su energia a basso costo e sull’esternalizzazione della produzione, in particolare in Cina. “Si basava in gran parte sulle esportazioni e poco sulla domanda interna“. Ma così ci si espone ad una eccessiva fragilità per Fabio Panetta, in riferimento alle tensioni geopolitiche attuali. Per questo va ripensato e adattato il modello europeo di crescita. “L’Europa ha capito che per rilanciare la sua crescita e la sua competitività deve investire in settori cruciali come l’energia, la transizione verde e le nuove tecnologie“. Dal canto suo, l’Europa deve adottare una strategia comune e introdurre gli strumenti fiscali necessari per favorire questo cambio di rotta. “Le nostre politiche di bilancio devono rimanere prudenti, ma dobbiamo imparare la lezione della crisi finanziaria. Pensavamo di poter rimediare ai problemi dell’elevato indebitamento riducendo la domanda, mentre l’anello mancante era la crescita. Alla fine, gli investimenti pubblici si sono contratti, la crescita è crollata e il rapporto debito/PIL è salito alle stelle. Non ripetiamo gli stessi errori“, conclude l’economista.