Emmanuel Macron ha ottenuto ciò che voleva. Riflettete a mente fredda. Prima del voto, la priorità era una soltanto: sbarrare la strada a RN. Non a caso, ennesima ammucchiata repubblicana al secondo turno e missione compiuta. La Francia olimpica aveva ottenuto ciò che voleva. Per l’ennesima volta. Poi, però, qualcosa è cambiato. Perché il buon Michel Barnier si è trovato a dover gestire – in nome dell’antifascismo al caviale – una Manovra finanziaria senza precedenti: 60 miliardi di euro, praticamente un bagno di sangue annunciato. Senza ammetterlo, Marine Le Pen avrà certamente tirato un sospiro di sollievo. E veleggiato con il vento in poppa dell’opposizione.
Era una missione impossibile quella di trovare una maggioranza per far passare un Budget di quel genere. Non a caso, l’Eliseo ha scelto una figura sacrificabile. Un ex uomo di apparato europeo. Un tecnico grigio e senza spessore.
Vittoria su tutta la linea di Marine Le Pen? No. Perché ora la patata bollente dei conti passa al Governo successivo, stante una Costituzione che vieta alla Francia di tornare al voto prima di luglio 2025. Non a caso, la pasionaria della destra ha cambiato atteggiamento e toni con rapidità olimpica nelle 48 ore in cui si è consumata la crisi di governo. Ritirata la richiesta di dimissioni dello stesso Emmanuel Macron. E disponibilità al varo di una legge di scopo per far passare la Manovra entro i tempi imposti dalla procedura di infrazione. Quando dai banchi dell’opposizione si rischia di passare a quelli del Governo nottetempo, fosse anche per un appoggio esterno o un’astensione tattica, la propaganda finisce ko al primo pugno della realtà.
Il motivo? Sta tutto in questo grafico, il quale ci mostra una dinamica ancora in atto. Per tutto il trimestre di Governo Barnier, la Bce ha evitato di rimettere sul mercato gli Oat francesi che aveva in detenzione. Di fatto, uno schermo anti-spread implicito. In compenso, ha venduto Bund tedeschi con il badile.
E l’Italia? L’Italia è tornata a essere vigilato silente. Perché dopo un periodo di vendite dell’Eurotower che è corrisposto alla campagna di Russia delle emissioni indicizzate e retail del Tesoro, quelle che già oggi fanno maledire le cedole, casualmente la Banca centrale ha pensato bene di giocare l’accoppiata. Inutile schermare i titoli di debito di Parigi, se si lascia a navigare in mare aperto il debito monstre dell’Italia. E il rischio contagio è forte.
Ora, cosa c’è da temere? L’extra-reazione del mercato. Perché nonostante lo schermo Bce, lo spread francese è salito. E non solo sul Bund. Persino rispetto ai titoli greci a 5 e 10 anni. Sintomo che la spinta alle vendite è stata forte. Davvero il mercato prezza una crisi simile al 2010 che veda la Francia come epicentro? No. Si incorpora il cosiddetto redenomination risk. Ovvero, il fatto che la crisi transalpina operi da dinamo di quella dell’intera Eurozona e della moneta unica, al netto dello sprofondo macro tedesco cui va a unirsi l’incertezza per un voto anticipato di febbraio per il Bundestag che vede la variabile Alternative fur Deutschland agitare ufficialmente nel programma elettorale lo spettro dell’uscita dell’Europa e dall’euro. Non a caso, di colpo sui giornali tornano gli eurobond con profilo di missione salvifica. Non a caso, intervistato dal Financial Times proprio nel giorno del voto di sfiducia francese, Joachim Nagel, numero uno della Bundesbank, apriva a un ammorbidimento dei vincoli interni sul debito, poiché la fragilità del quadro economico impone investimenti statali e addio alla cautela weimariana. Dopo che già la crisi energetica del 2022 ha visto il Governo di Berlino mettere sul tavolo oltre 200 miliardi di euro fra salvataggi di Stato, sussidi e aiuti ai comparti più in sofferenza.
E il rischio inflazione? Sparito. Nonostante stia risalendo. E nonostante la Bce venga invitata da più parti a tagliare ancora i tassi. E con più decisione. E i salari? Il potere d’acquisto? Le scene di protesta davanti alle fabbriche della Volkswagen offrono una risposta fin troppo chiara. E in un Paese dove gli stipendi (e i sindacati) sono degni di questo nome. Insomma, lo spread francese non ci dice che le banche d’Oltralpe faranno crac come quelle elleniche di oltre un decennio fa. O come quelle spagnole della bolla immobiliare del compagno Zapatero. Ci dice che è l’Eurozona, questa volta, a rischio di non sopravvivere a uno scossone sistemico che renderebbe palese quanto finora è stato occultato dalle formulette magiche stile Whatever it takes. Cioè, il Vecchio continente annega nel debito. Ma a differenza degli Usa non può contare su un mercato finanziario enorme e una valuta benchmark che consentono magheggi continui. Ma, soprattutto, non può contare su una Fed che operi in modalità di salvataggio con interventi one size fits for all.
L’Europa è un insieme di Paesi senza fiscalità comune, né debito comune. E non sarà qualche miliardo di eurobond con la tripla A garantita da Berlino a cambiare la percezione di rischio. E nemmeno un nuovo ciclo di Qe a derattizzare certi bilanci bancari. Perché stavolta non traballa il Club Med. Stavolta traballano in contemporanea Germania e Francia. E se qualcosa dovesse andare fuori controllo, l’Italia sarebbe la prima in linea di contagio. Ma senza alcuno spazio fiscale per tamponarlo, salvo un ulteriore ricorso al deficit che opererebbe da accelerante dell’incendio doloso appiccato dai mercati tramite la vendita massiva di Oat. Il Btp è pronto a seguire.
Pensate che Wall Street non stia giocando un ruolo chiave nell’alimentare la tensione? Pensate che Donald Trump ci verrà in soccorso in nome della solidarietà atlantica? E pensate che sia saggio operare in modalità di scontro frontale con Cina e Russia, stante le dinamiche in avvitamento?
Attenzione a dare per morti Macron e il macronismo. Perché sono solo un proxy. Ma dell’intera Ue.
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