Papa Francesco nel corso del suo viaggio in Ungheria, nell’ultima tappa alla Facoltà di Informatica e Scienze Bioniche all’Università di Budapest, ha rivolto alla folla di presenti un discorso sulla cultura, che oggi si scontra inevitabilmente con la tecnocrazia e la corsa, infinita, al progresso, che erode i rapporti e la percezione che gli individui hanno di loro stessi in relazione agli altri, a ciò che ci circonda e alla fede.
“La cultura è come un grande fiume“, spiega Papa Francesco in apertura, “collega e percorre varie regioni della vita e della storia mettendole in relazione, permette di navigare nel mondo e di abbracciare Paesi e terre lontane, disseta la mente, irriga l’anima, fa crescere la società“. Un pensiero già intuito da Romano Guardini, che comprese che “vi sono due forme di conoscenza […], l’una conduce ad immergersi nell’oggetto e nel suo contesto; l’altra, al contrario, ne acquista padronanza e possesso, le domina”. In questa seconda concezione di conoscenza, spiega Papa Francesco citando ancora Guardini, “le energie e le sostanze sono fatte convergere ad un unico fine: la macchina” che conduce inevitabilmente “all’assoggettamento dell’essere vivente”.
Papa Francesco: “La vita può rimanere vivente?”
Continuando il suo intervento, Papa Francesco riporta anche il grande pericolo che lo stesso Guardini intuì, ovvero che in un mondo dominato dalla macchina “l’uomo perde tutti i legami interiori e, mentre nel suo essere interiore egli è divenuto senza contorni, senza misura, senza direzione, egli stabilisce arbitrariamente i suoi fini e costringe le forze della natura, da lui dominate, ad attuarli”. Fu lo stesso intellettuale a chiedersi “cosa ne sarà della vita se finirà sotto questo giogo? Cosa accadrà quando la tecnica prevarrà? La vita può rimanere vivente?“.
Domande che, secondo Papa Francesco, ora sono più attuali che mai, citando “la mancanza di limiti, la volontà di mettere al centro di tutto l’individuo e i suoi bisogni, l’erosione dei legami” che portano gli uomini a ricorrere “alle consolazioni della tecnica come a riempitivi del vuoto che avvertono, correndo in modo ancora più frenetico mentre, succubi di un capitalismo selvaggio, sentono come più dolorose le proprie debolezze”. Ma l’antidoto, secondo Papa Francesco, c’è ed è la cultura, che secondo il Concilio Vaticano II “deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società umana. Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale”.
La cultura come percorso di conoscenza
Davanti ad un mondo sempre più tecnocratico e incentrato sulla corsa frenetica, spiega ancora Papa Francesco, “la cultura ci accompagna a conoscere noi stessi” nel senso di “riconoscere i propri limiti e, di conseguenza, arginare la propria presunzione di autosufficienza”, perché “mentre il pensiero tecnocratico insegue un progresso che non ammette limiti, l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio e connesso con gli altri e con il creato”.
Un invito, quello di Papa Francesco, “a una conoscenza che, partendo dall’umiltà, partendo dal limite, partendo dall’umiltà del limite scopre le proprie meravigliose potenzialità, che vanno ben oltre quelle della tecnica. Conoscere sé stessi, in altre parole, chiede di tenere insieme, in una dialettica virtuosa, la fragilità e la grandezza dell’uomo. Dallo stupore di questo contrasto sorge la cultura: mai appagata e sempre in ricerca, inquieta e comunitaria, disciplinata nella sua finitezza e aperta all’assoluto. Vi auguro di coltivare questa appassionante scoperta della verità”.