Prevost incarna una Chiesa universale, non eurocentrica. Come Leone XIII, si appresta ad affrontare una nuova rivoluzione
Un Papa che vuole costruire ponti con tutti, anche con Trump. Che prende come punto di riferimento Leone XIII e la Rerum novarum perché oggi, come allora, siamo di fronte a una rivoluzione che non è più quella industriale, ma quella segnata dall’intelligenza artificiale. Un Papa, soprattutto, racconta Gerard O’Connell, corrispondente vaticano del magazine cattolico America, che rappresenta una Chiesa unita.
Se non lo fosse stata, checché ne dicano i detrattori di Francesco che l’hanno descritta in preda alle divisioni, Francis Prevost non sarebbe stato eletto in così poco tempo, dando al mondo un segnale importante: che si possono mettere d’accordo 133 persone provenienti da 70 Paesi diversi. Dopo un pontefice sudamericano, eccone uno nordamericano, segno che si tratta di una Chiesa realmente universale, il cui asse non è più in Europa.
Il Papa ha spiegato, nel suo incontro con i cardinali, di aver scelto il suo nome ricordando Leone XIII e la Rerum novarum, che affrontò la questione sociale nel momento della prima rivoluzione industriale, facendo un parallelo con la rivoluzione in atto oggi dovuta all’IA. Dobbiamo aspettarci una seconda Rerum novarum?
Papa Francesco ha parlato di cambio d’epoca e ha partecipato alla sessione del G7 sull’intelligenza artificiale. È ovvio che Leone XIV continuerà su questa strada, anche se non so se scriverà una nuova enciclica. È molto indicativo, comunque, che faccia riferimento esplicito a Leone XIII e alla rivoluzione industriale. Quello che ha detto ai cardinali è una dichiarazione programmatica: vuol dire che comunque si occuperà di questi temi. L’intelligenza artificiale, d’altra parte, sta già cambiando la vita di tutti noi.
Uno dei temi su cui più hanno discusso i cardinali, e che probabilmente ha influito sull’elezione del nuovo Papa, è quello della sinodalità. Si può già intuire come si muoverà in questa direzione Leone XIV?
Nel primo breve discorso Urbi et Orbi è stato molto chiaro, dicendo che appoggia la sinodalità, in continuità con il pontificato di Papa Francesco e con il documento finale della seconda sessione del Sinodo dell’ottobre scorso. Leone XIV ha indicato molto chiaramente che questa è la sua linea.
Quindi ci dobbiamo aspettare un Sinodo allargato ai non vescovi come quello di Francesco?
È già stata decisa un’assemblea ecclesiale nel 2028. Papa Francesco ci ha messo la firma mentre era in ospedale. Il prossimo passo sarà questo. Come verrà sviluppato questo tema in seguito, per ora non possiamo dirlo. La necessità di seguire la strada sinodale era uno dei punti fondamentali nella discussione pre-conclave: i cardinali hanno votato per un Papa che seguisse la strada aperta da Papa Francesco.
Per quello che sappiamo ora, che differenze possono esserci fra Leone XIV e Papa Francesco?
Sono personalità diverse. Leone XIV ha letto il primo discorso, mentre Papa Francesco andava a braccio. L’attuale Papa è una persona riservata, che ascolta molto le persone. E ha una grande esperienza, perché è stato a capo dell’Ordine degli Agostiniani per diverso tempo. Ha vissuto qui a Roma, penso almeno dieci anni, e in Perù per altri venti. È un cittadino del mondo. È un prodotto dell’immigrazione, con origini francesi, spagnole, haitiane; sembra che abbia anche qualche antenato italiano. Come Francesco, è figlio di immigrati e, per questo motivo, punterà molto sul tema dell’immigrazione.
Conosce bene Roma e il suo ultimo incarico era quello di prefetto del Dicastero dei Vescovi: che rapporto potrà avere con la Curia romana e come si comporterà con le nomine?
Era a capo del Dicastero dei Vescovi e tutti dicono che ha gestito molto bene questo ufficio. Molti cardinali erano a conoscenza della sua gestione e questo ha giocato a suo favore. Per quanto riguarda le nomine, è tutto da vedere. Ogni Papa, quando viene eletto, conferma quelle precedenti e poi, con il tempo, decide. La prima decisione che dovrà prendere riguarda il Dicastero che lui ha lasciato libero. Perciò, in questo momento, non si può speculare su quali saranno le sue decisioni.
Come è stato accolto questo Papa negli USA? Il cardinale Dolan ha detto che sarà capace di costruire ponti anche con Trump: punterà a questo?
Prima di tutto, dobbiamo ricordare che Leone XIV è un prodotto della Chiesa americana: è cresciuto lì, ha fatto il chierichetto, è entrato in noviziato, emerge da una Chiesa parte della quale ha fatto opposizione a Papa Francesco. L’ironia della storia è proprio questa: è uscito da una comunità che in parte era contraria al suo predecessore. È importante sottolinearlo. Quella americana è una grande Chiesa; se lo appoggia, sarà molto importante per la Chiesa cattolica universale.
Ma con l’attuale amministrazione USA riuscirà a trovare un punto di equilibrio?
Tutti i Papi hanno avuto elementi in comune e punti di disaccordo con le amministrazioni americane. Come Francesco, Leone XIV è un uomo che vuole dialogare, costruire ponti. Tutti dicono che Trump verrà a Roma il 18 maggio per la Messa di inizio pontificato, e abbiamo visto in occasione del funerale di Francesco cosa è successo fra lo stesso Trump e Zelensky. È vero che sui migranti le posizioni sono diverse, però non è detto che non si trovino punti di contatto. Sicuramente il Papa affronterà la questione, e il Presidente degli Stati Uniti deve ricordarsi che ha ricevuto tanti voti cattolici. Nella Chiesa cattolica degli USA c’è un enorme entusiasmo in questo momento: nessuno avrebbe immaginato un pontefice americano. Siamo in una situazione affascinante.
La sua elezione, quindi, è anche un’occasione storica per legare due mondi?
Leone XIV è un Papa dei due mondi: parla inglese e spagnolo fluentemente, ha vissuto un terzo della sua vita in Perù, anche in una zona molto povera, e per questo è molto considerato dalla Chiesa latinoamericana. E ha detto chiaramente che vuole costruire ponti, quindi cercherà di farlo anche con Trump. Abbiamo avuto un Papa dell’America Latina, ora arriva dal Nordamerica: è la prova che la Chiesa è veramente cattolica, universale, e che il suo asse portante non è più in Europa.
Si è fatto un’idea di come è andato il conclave?
Mi ha colpito la rapidità. È una cosa straordinaria che, in un mondo così polarizzato, così diviso dalle guerre, la Chiesa riesca in poco più di 24 ore a eleggere un nuovo Papa. È un segno di unità, di speranza per il mondo: 133 elettori di 70 Paesi hanno saputo andare oltre le nazionalità, superando le divisioni. Penso che sia un avvenimento di grande impatto. Credo sia troppo presto per una ricostruzione esatta. Io ho scritto un libro sull’elezione di Papa Francesco, ma l’ho fatto sette anni dopo.
Qualcuno ha parlato di un’alleanza tra Nordamerica e Sudamerica per sostenere Prevost. È andata così?
Ho visto la reazione spontanea delle Chiese in Sudamerica e negli Stati Uniti alla sua elezione. È ovvio che, senza il loro appoggio, Prevost oggi non sarebbe Papa. Ma prima di dire come è andata veramente bisogna aspettare. Leone XIV, comunque, è un uomo che ha tanta pace interiore, questo lo so. Come Francesco. Nella parte in inglese dell’omelia della Messa celebrata nella Cappella Sistina ha detto ai cardinali: “Mi avete eletto, ora mi aspetto un appoggio da voi”. Per questo, a quelli che dicevano che la Chiesa con Francesco era a pezzi, rispondo che non è per niente vero. Qui si è vista l’unità.
(Paolo Rossetti)
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