Per raggiungere la pensione di vecchiaia occorre totalizzare un numero specifico di contributi. Taddei tuttavia, smentisce un "mito".
La pensione di vecchiaia è un diritto che ogni lavoratore acquisisce dopo anni di contributi versati durante l’attività lavorativa. Tuttavia il sistema INPS italiano non gode di un buon stato di salute, e sull’argomento è tornato a parlarne il giornalista economico Massimo Taddei.
Taddei affronta il futuro previdenziale dando un’occhiata ai dati ISTAT che mostrano una potenziale panoramica dei prossimi 25 anni (arrivando al 2050). D’altronde le criticità sono evidenti, tanto che già inizia il primo inasprimento dei requisiti.
Pensione di vecchiaia: la verità sul versamento contributivo
Taddei ha svelato dei falsi miti su come raggiungere la pensione di vecchiaia, parlando ad esempio di come “non sia vero” che i contributi versati oggi pagheranno i cedolini futuri.
La realtà dei fatti è che quanto pagato oggi in termini di contribuzione, si ripagano le pensioni odierne. Infatti il giornalista afferma che l’ente non ha nessuna cassa previdenziale dove poter raccogliere denaro.
E questo dimostra i problemi attuali, ovvero poche coperture finanziarie a causa dell’eccessivo esborso rispetto alle entrate. Con l’AI l’INPS potenzierà i controlli, sperando che si possano riuscire a recuperare un po’ di fondi.
Dunque per risolvere questa problematica al momento l’ente prende i soldi pagati dai contribuenti e derivanti da altri tributi. Oggi un impiegato cede in media il 33% del suo salario allo Stato, mentre un tempo la percentuale era di gran lunga inferiore (negli anni ’50 si paga circa il 10%).
Il futuro per l’ISTAT
L’ISTAT ha prospettato un quadro specifico sul futuro pensionistico italiano, prevedendo che la popolazione sarà sempre più vecchia e con meno lavoratori (o comunque un numero insufficiente a garantire il ciclo dell’attuale sistema).
Un tempo le generazioni erano più avvantaggiate, basti pensare a quanto oggi paghiamo care le baby pensioni e quando il cedolino veniva conteggiato in base allo stipendio percepito e non ai contributi pagati negli anni.
L’aspetto più critico si concretizzerà entro il 2050, quando i lavoratori nella fascia d’età anagrafica 15 – 64 anni saranno quasi 8 milioni in meno.
Occorre individuare una soluzione duratura e longeva, e non è certo quella di sospendere l’adeguamento rispetto all’aspettativa di vita (ci sarebbe un incremento dei costi pubblici).