Piano AI: dagli USA l’idea di una strategia ispirata al modello Marshall per battere la Cina in campo tecnologico ma mancano ancora regole condivise

L’idea di un “Piano AI” inizia a circolare sempre con più concretezza nei palazzi del potere americano dove viene sempre più spesso accostata a modelli storici come il Piano Marshall o il New Deal: si tratta della proposta, sostenuta da esperti, dirigenti d’impresa e alcuni rappresentanti istituzionali, di costruire una risposta strutturata e su larga scala per affrontare la trasformazione innescata dall’intelligenza artificiale, un’evoluzione che procede a grande velocità e che riguarda direttamente la sicurezza, l’economia e il lavoro.



Secondo i promotori, il Piano AI dovrebbe articolarsi su più livelli: dalla costituzione di un blocco geopolitico tra Stati Uniti, Canada, Europa, Australia e Asia come alleati, fino alla riorganizzazione delle priorità interne in materia di infrastrutture digitali, energia e formazione professionale ma il tema centrale rimane la necessità di battere la Cina nella corsa all’AI avanzata, obiettivo ritenuto essenziale sia dall’amministrazione Trump che dal Congresso, e proprio su questo punto esiste un consenso bipartisan.



Donald Trump ha più volte ribadito che perdere il primato tecnologico equivarrebbe a perdere un vantaggio strategico irrecuperabile, motivo per cui gli Stati Uniti hanno iniziato a chiudere accordi con Paesi terzi per assicurarsi forniture di terre rare e hanno dato segnali di apertura verso una deregulation che favorisca investimenti in chip, data center e calcolo avanzato, ma i più scettici segnalano che la costruzione di una vera alleanza globale dell’AI richieda anche cooperazione politica e condivisione di standard, e che in questo campo Washington continua a muoversi in modo isolato, rischiando di perdere occasioni preziose di coordinamento con partner come l’Europa o il Giappone.



Piano AI, una strategia nazionale incompleta: tra gap formativi, assenza di regia politica e rischi occupazionali

Il Piano AI nelle intenzioni dei suoi sostenitori dovrebbe rappresentare non solo un progetto di supremazia geopolitica ma anche una risposta tangibile ai cambiamenti che l’intelligenza artificiale porterà nel mercato del lavoro, nella distribuzione della ricchezza e nell’organizzazione della società ma secondo alcune analisi, negli Stati Uniti servirebbe un sistema capillare di riqualificazione professionale, una rete energetica potenziata e una programmazione pubblica allineata agli sviluppi tecnologici.

E proprio su questo, ad oggi, manca un disegno coerente e condiviso: il governo federale non ha ancora messo a punto un piano operativo che coinvolga scuole, Stati e imprese in un percorso coordinato di adattamento, lasciando spazio a iniziative isolate come quella avviata dalla Pennsylvania, dove Amazon Web Services ha annunciato un investimento record di 20 miliardi di dollari per la costruzione di data center.

Il Piano AI implica anche una riflessione anche sulle conseguenze occupazionali: secondo stime interne del settore, una quota considerevole di lavori di primo livello e di impieghi rischia di essere assorbita dai nuovi sistemi automatizzati e diversi CEO hanno già confermato il blocco o il rallentamento delle assunzioni in alcuni dipartimenti, mentre solo pochi stanno investendo realmente in formazione interna o percorsi di aggiornamento per i dipendenti.

Alcuni esperti propongono la creazione di un comitato speciale del Congresso, sul modello di quello esistente durante l’era nucleare, con compiti di sorveglianza e aggiornamento costante sugli sviluppi dei grandi modelli linguistici e sui loro impatti; l’obiettivo, secondo i promotori, non è regolare ma prevenire, offrendo al Paese uno strumento permanente per gestire le trasformazioni, accompagnare i lavoratori e garantire che il Piano AI non resti solo un’etichetta astratta ma si traduca in misure operative, tangibili e accessibili per tutti i settori coinvolti.