La scorsa settimana è stato varato dalla Commissione europea il Piano d'azione sull'AI, che appare fin troppo ambizioso
La Commissione europea ha adottato il 9 aprile scorso l'”AI Continent Action Plan”, una strategia ambiziosa per posizionare l’Unione europea come leader mondiale di questo settore, una dichiarazione forse eccessivamente ottimista. Gli Stati Uniti e la Repubblica popolare cinese, difatti, già dominano il panorama dell’IA globale, con investimenti significativi, tecnologie avanzate ed ecosistemi strutturati.
Nondimeno, secondo gli estensori comunitari, l’Europa possiede numerosi punti di forza in questo campo strategico: innanzitutto, un pool di talenti, con università e istituti di ricerca tra i migliori al mondo. Il secondo pilastro sarebbe rappresentato da un ecosistema di start-up in grado di guidare l’innovazione nello sviluppo di modelli IA avanzati e in applicazioni chiave in vari settori, dalla sanità alla robotica fino alla manifattura.
Il Piano si concentra su cinque aree strategiche, il cui ulteriore sviluppo deve essere accelerato e intensificato:
1) Potenziamento dell’infrastruttura computazionale attraverso l’espansione delle 13 fabbriche IA già in fase di realizzazione in Europa e la creazione di gigafactory. Considerata la portata degli investimenti necessari, queste ultime saranno implementate tramite partenariati pubblico-privati e altri meccanismi di finanziamento.
2) Miglioramento dell’accesso a dati di alta qualità con l’istituzione di data labs che saranno componenti integrali delle factory, consentendo la fornitura, l’aggregazione e la condivisione sicura dei dati.
3) Accelerazione dell’adozione degli algoritmi dell’IA nei settori strategici, anche mediante gli European Digital Innovation Hubs.
4) Rafforzamento delle competenze e dei talenti attraverso lo sviluppo dei sistemi educativi, della formazione e della ricerca, anche facilitando percorsi di immigrazione legale per lavoratori altamente qualificati non-Ue e facilitazioni per il ritorno in patria di ricercatori europei qualificati.
5) Minimizzazione degli oneri normativi, nel promuovere un’implementazione, semplice e favorevole all’innovazione, dell’AI Act, soprattutto per le piccole e medie imprese.
Per sostenere questa strategia, la Commissione ha annunciato diverse iniziative concrete quali una call per espressioni di interesse per la creazione di gigafactory al fine di testare l’interesse sia degli Stati membri che degli investitori privati. Una seconda iniziativa è quella del lancio della “InvestAI Facility”, con l’obiettivo di mobilitare 20 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture, puntando a realizzare fino a 5 gigafactory in tutta l’Unione, così come annunciato nel febbraio 2025 dalla presidente Ursula von der Leyen durante l’AI Action Summit di Parigi.
In conclusione, l’Unione europea si trova oggi a fronteggiare una sfida epocale nel campo dell’IA, dove il divario tecnologico con Stati Uniti e Cina rischia di trasformarsi in un ritardo strutturale perché l’IA non è più solo un vantaggio competitivo, ma una necessità per colmare il divario di innovazione tra questi diversi ecosistemi e aree geopolitiche. Sebbene l’attuale Piano rappresenti un tentativo estremo di recupero, un’analisi critica non può non mettere in evidenza una serie di occasioni mancate e carenze strategiche.
A solo titolo esemplificativo, la dipendenza, da parte dell’Europa, dei semiconduttori stranieri (le Gpu statunitensi) costituisce una vulnerabilità critica che non può non essere adeguatamente affrontata. Le restrizioni sulle esportazioni di tecnologie avanzate, relative allo “US Chips Act“, pongono sfide significative per le ambizioni europee. Si può, difatti, far uso della limitazione della potenza di calcolo computazionale, attraverso gli export controls, alla stregua di una decisiva leva strategica in grado di plasmare la diffusione globale dell’IA.
Questa diffusione potrebbe essere modellata sull’attuale “guerra” dei dazi trumpiana, in cui verrebbero concesse facilitazioni e privilegi maggiori a quei Paesi che decidessero di attivare una forte partnership/subordinazione con l’alleato statunitense, quali la cooperazione militare e garanzie legate alla sicurezza nazionale. Tali garanzie includerebbero standard cogenti di cyber security, protocolli di sicurezza fisica relativi alla supply chain, monitoraggio delle possibili insider threats; tutti elementi progettati per prevenire l’accesso non autorizzato, l’interferenza e il sabotaggio degli attori statuali avversari, ecc.
Altro aspetto, di non secondaria importanza, oltre a quello della carenza di investimenti economici adeguati, è relativo all’indisponibilità di fonti energetiche a basso costo. In quest’ultimo caso, l’Unione dovrebbe considerare attentamente il ruolo, oramai non più differibile, dei piccoli reattori modulari nucleari come fonte complementare di energia pulita.
In definitiva, ça va sans dire, il successo del Piano europeo dipenderà da come si riuscirà a far fonte a tutti questi aspetti dirimenti i quali costituiscono dei veri e propri colli di bottiglia, a tutt’oggi, purtroppo, di non facile risoluzione.
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