Da quello che succede in Germania sembra emergere la volontà di riconvertire l'economia europea: una missione tutt'altro che semplice
Le elezioni tedesche hanno aperto le porte a una coalizione tra Cdu e Spd guidata da Friedrich Merz. Tra i primi temi discussi dalle due forze politiche ci sarebbe la costituzione di un fondo da 200 miliardi di euro per investire in difesa. L’iniziativa potrebbe essere approvata dal Parlamento attuale ancora prima dell’inizio ufficiale della nuova legislatura.
L’ipotesi è in linea con le attese dei mercati che scommettono su una politica economica nuova per la Germania in cui, anche attingendo a deficit e debito, si dedichi più spazio agli investimenti in difesa e alle infrastrutture. Sarebbe questa una novità che si rende necessaria per rilanciare l’economia e far fronte alla decisione americana di ritirarsi dall’Europa. L’Europa, questa è l’analisi, è eccessivamente dipendente dai commerci e dalle esportazioni in una fase di guerre commerciali e di tensioni geopolitiche e quindi dovrebbe puntare tutto sugli investimenti e la domanda interna facendo quello che non ha fatto negli ultimi tre decenni.
La Germania, la principale economia europea, è chiamata più di tutti a fare la sua parte. Berlino ha costruito il suo successo sulle esportazioni a discapito della domanda interna e ha più spazio fiscale di qualsiasi altro Paese europeo.
Convertire un modello economico costruito e consolidato nei decenni non è un compito facile. L’economia europea, anche complice la crisi dei debiti sovrani del 2011, oggi dipende dalle esportazioni molto più che quindici anni fa. Cambiare le abitudini e la propensione al consumo delle famiglie richiede tempo e non ci sono né risultati, né tempi certi. L’Europa ha davanti a sé una riconversione che richiede molti anni e molto tempo e che sarà tanto più difficile quanto più diventerà complicato lo scenario esterno.
Il Vecchio continente ha perso l’accesso al gas russo e questo ha messo il cuore industriale europeo alle prese con un serio problema di competitività. Fare la riconversione in uno scenario di crisi per il settore industriale è molto complicato. Lo “spazio fiscale”, anche della Germania, la possibilità di ricorrere a nuovo debito, anche per l’Europa unita, non sono pozzi senza fondo e si esauriscono molto velocemente in uno scenario di rallentamento economico; soprattutto se, nel frattempo, si cerca di difendere il welfare delle famiglie europee dalla sanità all’istruzione.
Ieri il ministro degli Esteri spagnolo in un’intervista al Financial Times ha invitato l’Europa a prendere le proprie decisioni in autonomia riguardo ai rapporti con la Cina. I commerci con Pechino sono un elemento chiave dell’economia europea. Il Paese asiatico importa merci dell’Unione ed esporta in Europa componentistica necessaria a tanti settori tra cui, per esempio, quello della “transizione energetica”. I rapporti tra Cina e Stati Uniti sembrano procedere verso una crescente ostilità mentre, proprio ieri, sono tornate al centro dell’attenzione le tensioni su Taiwan.
L’Europa non può fare da sola e di certo non può litigare con tutti. Ricostruire un modello economico, preservando il benessere degli europei, dopo aver perso l’accesso al mercato russo, mentre si tenta di recuperare trent’anni di investimenti persi e rompendo i rapporti con la più grande economia del mondo, sarebbe troppo per l’Europa. Dall’altra parte dell’Atlantico c’è un alleato che ha giustamente deciso di dare priorità alla propria economia e alla sua ricostruzione. L’Europa non può fare da sola dal basso del fazzoletto di terra che occupa senza materie prime e risorse naturali.
Se l’Europa perde l’industria e i rapporti commerciali l’economia si fermerà molto prima che qualsiasi tipo di riconversione abbia successo. Riequilibrare l’economia è giusto, richiede moltissimo tempo e moltissime risorse, ma è impossibile se l’industria europea si ferma prima. Realismo sarebbe rendersi conto delle sfide, della propria fragilità e del fatto che non ci può essere una ripartenza che non passi anche dal difendere quello che c’è e che continua a pagare stipendi e welfare e questo include l’industria europea con i suoi rapporti commerciali e le sue forniture.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.