Età pensionabile: è il parametro cruciale di ogni sistema pensionistico perché è quello che fa fronte al maggiore degli effetti destabilizzatori derivanti dall’aumento dell’aspettativa di vita, che negli ultimi decenni ha conosciuto andamenti progressivi ben superiori alle attese. Ma è anche la questione che incontra le maggiori resistenze sul piano sociale, tanto che il governo Letta e la maggioranza che lo sostiene sembra intenzionato (se è destinato a durare) a rimettere in discussione – proprio sull’età del pensionamento e con il pretesto di introdurre elementi di flessibilità – taluni capisaldi introdotti dalla riforma Fornero del 2011.
Eppure, il ragionamento è di una semplicità elementare: se un trattamento, a fronte dello stesso montante contributivo, deve essere erogato per un numero maggiore di anni, in forza dell’invecchiamento della persona, è necessario anche spostare in avanti l’inizio della quiescenza oppure riproporzionare l’entità dell’assegno. In Italia non si è seguita, per tanti anni, né l’una né l’altra strada o se lo si è fatto, non è stato in maniera adeguata. Con la collaborazione di Domenico Comegna, ho ricostruito la storia secolare di questo istituto, la cui variazione ha suscitato scioperi, proteste, lamentele di ogni tipo. Il percorso aiuterà a riflettere quanti sono pronti ad occuparsi in buona fede di questo problema. Anche perché si potrà notare che esistevano regole più corrette quando le persone avevano un’aspettativa di vita molto più ridotta.
1919 – Viene istituita l’Assicurazione generale obbligatoria (Ago). L’età legale per la pensione di vecchiaia viene fissata a 65 anni per uomini e donne.
1935 – Nel rdl n. 1827 l’età legale resta confermata a 65 anni, con possibilità di anticipo a 60, ma con penalizzazioni economiche variabili, in funzione dell’ampiezza dell’anticipazione, dal 37 al 10% dell’importo della pensione.
1939 – Nel rdl n. 636 l’età pensionabile è ridotta a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne.
1952 – Nella legge n. 218, che riordina l’intero sistema dopo gli sconvolgimenti del conflitto mondiale, rimangono confermati i previgenti limiti d’età.
1962 – Incaricato di svolgere un’indagine sui problemi della previdenza, il Cnel si esprime a favore di un innalzamento dell’età pensionabile in quanto “l’elevamento dell’età minima rappresenta – afferma la relazione conclusiva – senza dubbio una delle condizioni fondamentali per rendere possibile il maggior sforzo finanziario derivante dalla estensione della pensione a tutti i cittadini”.
1965 – Con legge n. 903 è introdotto nell’ordinamento dell’Ago il pensionamento anticipato di anzianità con 35 anni di anzianità contributiva. E’ abolito anche ogni divieto di cumulo, tanto che i pensionati di anzianità avrebbero potuto accedere alla prestazione senza neppure interrompere il rapporto di lavoro.
1968 – Si comprende subito che l’introduzione della pensione di anzianità è stato un errore (in meno di un triennio si sono spesi 170 miliardi, l’equivalente di 1500 miliardi attuali). Il Governo prova di scambiare l’abolizione del pensionamento anticipato con la concessione dell’aggancio della pensione alla retribuzione, fortemente richiesta dai sindacati. In un primo momento le confederazioni accettano, poi la Cgil ritira l’adesione e proclama lo sciopero. Nel dlgs n. 488 (in attuazione della legge delega n. 238) viene disposta la formula retributiva (65% della retribuzione dell’ultimo triennio, è abolita la pensione di anzianità (salvo un trattamento transitorio fino al 1970 nel caso di disoccupazione involontaria, con liquidazione secondo la precedente formula contributiva), è fissato un rigoroso divieto di cumulo.
1969 – Nella legge n. 153 si rafforza il calcolo retributivo (il 74% dei migliori tre anni negli ultimi cinque, poi dal 1976 l’80% ), effettività del sistema di perequazione automatica, attenuazione del divieto di cumulo, introduzione della pensione sociale, ripristino della pensione di anzianità dopo 35 anni di versamenti, inclusa la contribuzione figurativa.
1973 – Con il Dpr n. 1092 vengono consentite le baby pensioni nel pubblico impiego (le donne coniugate con prole potevano ottenere il trattamento dopo 14 anni, sei mesi e un giorno), dove già esistevano prestazioni più vantaggiose (pensionamento anticipato dopo 20 anni per gli statali, dopo 25 anni per i dipendenti degli enti locali).
1990 – La legge n. 233 riordina i trattamenti dei lavoratori autonomi, le cui gestioni erano sorte in tempi diversi. L’età di vecchiaia è a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne; per l’anzianità valgono le medesime regole del lavoro dipendente.
1991 – La Corte costituzionale (sentenza n. 194) riconosce la legittimità della pensione di anzianità.
1992-1994 – Il Governo Amato eleva, a regime, a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le donne la pensione di vecchiaia; per quella di anzianità istituisce un blocco a tutto il 1993. Il Governo Ciampi introduce una penalizzazione economica nel pubblico impiego. Il Governo Berlusconi accelera il meccanismo di andata a regime del pensionamento di vecchiaia (che termina nel 2000) e stabilisce un altro blocco per quello di anzianità.
1995 – Nella legge n. 335 (riforma Dini) viene rivista la disciplina del pensionamento di anzianità. A regime (nel 2008) si andrà in pensione a 57 anni di età con 35 anni di contributi o a qualunque età con 40 anni di versamenti. Nel pubblico impiego resta un meccanismo di penalizzazione economica con qualche correttivo per i requisiti.
1997 – La legge n. 449 (riforma Prodi) rende un po’ più veloce la transizione del pensionamento di anzianità, salvo le deroghe per operai, equivalenti e precoci. Il pubblico impiego viene sostanzialmente parificato al lavoro privato. Per i lavoratori autonomi il diritto si consegue con requisiti più severi.
2004 – La legge delega n. 443 (riforma Maroni) approvata ad agosto prevede un periodo di transizione fino a tutto il 2007 durante il quale, fermi restando i requisiti previgenti, viene introdotto un sistema di incentivazione in base al quale il lavoratore dipendente privato che, una volta maturati i requisiti per la pensione di anzianità ed ottenuta la relativa certificazione a garanzia del diritto, decide di posticipare la quiescenza, riceve in busta paga un bonus esentasse corrispondente al 32,7% della retribuzione. Dal 1° gennaio 2008 sarà consentito di andare in pensione a 60 anni di età con 35 anni di versamenti (che saliranno ulteriormente negli anni successivi) oppure con l’età di vecchiaia o con 40 anni di contribuzione. Fino al 2015 è ammesso sperimentalmente il pensionamento delle donne a 57 anni di età purché sottopongano la loro pensione al calcolo contributivo.
2008 – La legge 247 (Finanziaria 2008), cancellando il cosiddetto “scalone”, ossia l’elevazione dell’età anagrafica da 57 a 60 anni stabilita dal 1° gennaio 2008 dalla precedente riforma Maroni, introduce per la pensione di anzianità il nuovo sistema delle “quote”, sommatoria di età anagrafica e anzianità contributiva. In sostanza, il pensionamento anticipato, in assenza di un minimo di 40 anni di contribuzione, si può ottenere solo se sommando l’anzianità contributiva e l’età anagrafica si riesce a raggiungere la quota prevista, ferma restando la necessità di avere in ogni caso una soglia minima di età e i 35 anni di contributi. Le “quote” sono fissate in: 95 (minimo di età 59 anni, 60 gli autonomi) dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010; 96 (minimo di età 60 anni, 61 gli autonomi) dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre del 2012 e 97 (minimo di età 61 anni, 62 gli autonomi) dal 1° gennaio 2013 in poi.
2009 – La legge n. 102, in ossequio ad una sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 13 novembre 2008 (causa C-46/07) ha deciso la parificazione del requisito anagrafico stabilito per gli uomini, attraverso una graduale elevazione dei limiti di età richiesti alle donne del pubblico impiego. A decorrere dal 1° gennaio 2010, il requisito anagrafico di 60 anni è stato elevato di un anno (61anni), e sarà seguito da un ulteriore incremento programmato di un anno ad ogni biennio successivo, fino al raggiungimento dell’età di 65 anni nel 2018. La suddetta legge prevede inoltre che a decorrere dal 1° gennaio 2015 i requisiti di età anagrafica per l’accesso al sistema pensionistico siano adeguati all’incremento della speranza di vita accertato dall’Istat, con riferimento al quinquennio precedente. In sede di prima attuazione, l’incremento dell’età pensionabile riferito al primo quinquennio antecedente non può comunque superare i 3 mesi.
2010 – La legge n. 122 stabilisce che a far tempo dal 1° gennaio 2011 le pensioni, di vecchiaia e di anzianità, abbiano decorrenza trascorsi 12 mesi (18 mesi se lavoratori autonomi) dalla data di maturazione dei previsti requisiti (cosiddetta “finestra mobile”). La stessa legge peraltro accorcia la cadenza dell’adeguamento alle speranze di vita dei requisiti anagrafici, da quinquennale a triennale.
2011 – Con la legge 214 (riforma Monti-Fornero), viene rivista la disciplina sia della pensione di vecchiaia, che del pensionamento di anzianità (che d’ora in poi verrà definito “pensione anticipata”). A far tempo dal 1° gennaio 2012, l’età anagrafica richiesta per la pensione di vecchiaia è fissata a 66 anni per gli uomini e 62 per le donne, per le quali è prevista una graduale accelerazione sino a giungere alla completa parificazione nel 2018. Per le donne dipendenti la soglia anagrafica salirà a 63 anni e 6 mesi dal 1° gennaio 2014, a 65 anni dal 1° gennaio 2016 e a 66 dal 2018. Per le donne lavoratrici autonome la soglia anagrafica è fissata a 63 anni e 6 mesi dal 1° gennaio 2012, a 64 e 6 mesi anni dal 1° gennaio 2014 a 65 e 6 mesi dal 1° gennaio 2016 e a 66 anni dal 1° gennaio 2018. A decorrere dal 1° gennaio 2012 la pensione anticipata (che sostituisce il precedente trattamento di anzianità) si consegue in presenza di 42 anni ed un mese per gli uomini e 41 anni ed un mese per le donne. Tali requisiti sono aumentati di un mese dal 1° gennaio 2013 e di un ulteriore mese dal 1° gennaio 2014. La riforma Monti-Fornero sopprime inoltre la cosiddetta “finestra mobile” stabilendo che la decorrenza del trattamento di pensione sia fissato al mese successivo a quello di maturazione del requisito. Per scoraggiare il pensionamento anticipato prima dell’età di 62 anni, è stata introdotta una riduzione della quota di trattamento calcolato con il criterio “retributivo” (anzianità maturata sino al 2011) nella misura dell’1% per ogni anno di anticipo, percentuale che sale al 2%, per ogni anno di anticipo che supera i 2 anni. Se, ad esempio, si richiede la pensione anzianità all’età di 60 anni, si riscuoterà, per la quota di pensione calcolata con il sistema retributivo, un assegno decurtato del 2%. Se invece la si richiede a 59 anni di età, la decurtazione sale al 4%. La stessa legge conferma peraltro il meccanismo di aggancio dei requisiti anagrafici alle speranze di vita, che nel frattempo con la legge n. 111/2011 è stato anticipato dal 2015 al 2013, estendendolo anche al requisito contributivo richiesto per la pensione anticipata. In sostanza dal 1° gennaio 2013 l’età di vecchiaia degli uomini è salita a 66 anni e 3 mesi (quella delle donne a 62 anni e 3 mesi), mentre il requisito contributivo per la pensione anticipata è stato elevato a 42 anni e 3 mesi (41 anni e 3 mesi le donne). Confermata, infine, la possibilità per le sole donne, fino al 2015, di conseguire la pensione a 57 anni di età (58 le lavoratrici autonome) con 35 anni di contribuzione, purché scelgano il meno vantaggioso calcolo contributivo.