Il centrodestra non trova pace. Il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola si è dimesso ieri travolto dagli scandali, mentre sullo sfondo continuano a tenere banco le schermaglie tra Berlusconi e Fini, dopo le dimissioni di Bocchino da vicecapogruppo vicario alla Camera e il lancio dei Circoli di Generazione Italia.
Lo scenario che si apriva per la maggioranza all’indomani della vittoria delle regionali è radicalmente cambiato e le aspettative di riforma rischiano di rimanere deluse ancora una volta.
Nel centrosinistra prevale un atteggiamento prudente e attendista, mentre i temi più caldi all’ordine del giorno dell’agenda politica rimangano tutti sul tavolo. Luciano Violante analizza con IlSussidiario.net lo stato dei lavori e le prossime tappe della discussione sul lungo cammino delle riforme.
Innanzitutto le chiederei un commento sulle dimissioni del ministro Scajola.
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Penso che la sua decisione sia la logica conclusione della vicenda. Scajola ha tenuto un comportamento rispettabile che penso possa costituire un modello anche per altri membri della maggioranza, a cominciare dal sottosegretario all’economia Cosentino, sul quale pende un mandato di cattura per camorra. Questo scandalo avrà delle conseguenze sulla tenuta della maggioranza secondo lei?
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Il nostro sistema politico è costantemente sotto stress e non possiamo sapere quanto riuscirà a reggere. La maggioranza era già provata dallo scontro Berlusconi-Fini, ora si aggiunge il caso Scajola… Il cammino delle riforme si fa perciò più faticoso, anche perché non è vero, come si dice, che abbiamo davanti tre anni senza elezioni, fra un anno si voterà a Torino, Milano, Napoli e Bologna.
Addentrandoci sul terreno delle riforme, quante possibilità ci sono di raggiungere un’intesa tra maggioranza e opposizione?
Non è facile affrontare il tema delle riforme dato che per la prima volta la maggioranza non ha un progetto di riforma costituzionale. Nel ‘96 il centrosinistra aveva la sua proposta, nella legislatura successiva quella del centrodestra venne bocciata dal referendum. Nella scorsa legislatura il centrosinistra ha elaborato un testo che porta il mio nome, oggi stiamo ancora aspettando quello del governo.
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La bozza Violante rimane comunque un buon punto di partenza?
Si può partire da lì, ma anche da due documenti degli opposti schieramenti che il Senato ha già approvato e che sono in gran parte identici. Mi auguro che il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato dia avvio ai lavori. In pratica non sembrano mancare le basi comuni per iniziare a lavorare, ma l’intenzione di procedere.
In sintesi, quale sarebbe la ricetta su cui gli schieramenti possono trovare un’intesa?
Una Repubblica Parlamentare con un forte Presidente del consiglio, un Parlamento riqualificato e rinforzato attraverso la riduzione del numero dei parlamentari e forti poteri di controllo.
E una nuova legge elettorale?
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Assolutamente. Una delle ragioni di crisi del sistema politico italiano è quella di aver sottratto ai cittadini il diritto di scegliere i propri parlamentari. Siamo l’unico Paese in cui sono i dirigenti dei partiti a nominarli. Ci vorrebbe un grande fronte democratico di tutte le forze politiche per restituire agli italiani questo diritto.
Subito dopo il voto si è iniziato a parlare di elezione diretta del Presidente della Repubblica…
A mio parere si rischia di fare confusione. Se si propone una soluzione di questo tipo bisognerebbe specificare il modello di riferimento: quello austriaco che ha un Presidente eletto direttamente, ma con poteri deboli, quello francese con un Presidente forte che condivide il potere con il Parlamento o quello statunitense nel quale vige un rigorosissimo principio di separazione dei poteri e in cui il Presidente viene eletto da grandi elettori? O addirittura un sistema centroamericano nel quale il ras comanda tutto e tutti?
Vede, oltre a questa confusione di fondo non si capisce il senso di questo progetto. Rischiamo di perdere del tempo per creare un sistema diverso, ma inutile.
Passando al federalismo tanto caro alla Lega Nord qual è la vostra posizione?
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Il federalismo è sicuramente la forma moderna dell’unità nazionale. Anche sistemi più centralisti come la Francia si stanno muovendo verso il riconoscimento di spazi maggiori alle autonomie locali. Detto questo, voglio ribadire due presupposti fondamentali: un fondo perequativo per i soggetti più deboli e un forte potere centrale. Se, come in Belgio, quest’ultimo viene a mancare, il Paese si sfalda.
Il dibattito in corso sul federalismo è incentrato sui costi di questa riforma. Come la pensa al riguardo?
Esistono due grossi problemi da non sottovalutare assolutamente: i costi e, soprattutto, il passaggio dalla spesa storica ai costi standard. Stabilire i costi standard in maniera equa sarà un’impresa difficilissima, che sarebbe sbagliato sottovalutare.
Il nodo più delicato e sul quale i due schieramenti sembrano più lontani è poi quello relativo alla giustizia…
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Anni di leggi ad personam hanno senz’altro aiutato a creare questa distanza. Se però si porta a termine la riforma costituzionale, se si riformano Regioni, Camera, Senato, Presidenza del Consiglio e Governo è legittimo avviare una riflessione serena sulla magistratura.
Se non interveniamo la magistratura è destinata ad essere assoggettata al potere politico e questo ovviamente non giova a nessuno. La sfida è quella di ricollocare un potere che negli anni Cinquanta era periferico e che oggi invece è un settore centrale della governance del Paese, garantendo indipendenza e giusti criteri di responsabilità.
Ha condiviso il recente discorso del Presidente Napolitano che invitava all’autocritica la magistratura?
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Certamente e le posso dire che nella magistratura si fa sempre più strada la consapevolezza degli errori fatti e di ciò che a questo punto è bene correggere.
I fatti di stretta attualità hanno riportato all’ordine del giorno il ddl anticorruzione, mentre da tempo si parla di un intervento sulle intercettazioni…
I due temi in effetti sono legati, perché sarebbe abbastanza singolare lavorare al ddl anticorruzione e contemporaneamente impedire le intercettazioni. Serve una politica complessiva anticorruzione, al di là del disegno di legge e di un’intesa internazionale che dobbiamo ratificare sull’argomento. Poi è giusto risolvere il problema della fuga di notizie.
In che modo?
Serve un quadro di responsabilità più chiaro. La competenza a giudicare andrebbe assegnata a un ufficio giudiziario diverso da quello da cui le notizie sono “fuggite”.
Per quanto riguarda la pubblicazione di notizie che non riguardano persone indagate, mi auguro che siano invece i giornalisti ad autoregolarsi prima che lo Stato intervenga.
Da ultimo, cosa rappresenta per il centrosinistra lo scontro tra Berlusconi e Fini? Il Presidente della Camera è per voi un interlocutore diretto?
Nello schieramento avversario si affrontano due concezioni diverse del partito. Nel documento uscito dalla Direzione Nazionale del Pdl si legge “non siamo un partito, siamo un popolo”: è la riaffermazione di un meccanismo plebiscitario carismatico. L’idea di Fini è profondamente diversa.
L’ex leader di An è un interlocutore perché si muove con chiarezza e onestà, rimane comunque un avversario con una storia e degli obiettivi diversi dai nostri.
Sono da escludere quindi alleanze inedite che, come si augura qualche autorevole opinionista di sinistra, potrebbero rompere il bipolarismo e aprire fasi radicalmente nuove?
Sono discorsi tutti interni al mondo politico, autoreferenziali e staccati dalla realtà. In un momento in cui alcune persone in difficoltà vengono trovate a rubare il latte o il pane per mangiare sarebbe meglio che la politica torni a occuparsi dei problemi veri del Paese.
(Carlo Melato)