ANTICIPAZIONE/ Amato: oggi neanche la mia maxi-manovra salverebbe l’Italia
«Berlusconi è alla fine, ma non credo ai governi tecnici. La situazione di oggi è ancor più difficile di quella del ’92. Servono riforme, ma anche una visione». Parla GIULIANO AMATO

«Berlusconi è alla fine, ma non credo ai governi tecnici. La situazione di oggi? È ancor più difficile di quella del ’92, perché c’è molto meno grasso da eliminare». Una riforma fiscale? «Difficile farla nei momenti di magra, affidando ad essa la soluzione del problema del contenimento della spesa pubblica». Ogni politica realmente riformatrice non può rinunciare a una visione, dice Giuliano Amato, presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, costituzionalista ed ex capo del governo negli anni “bui” dell’Italia del 1992 e ’93. «È quella che dà la capacità di convincere gli altri a sacrificare un po’ dell’io di oggi, in nome dell’io e del noi di domani». Oggi a Rimini per parlare dei 150 anni dell’unità italiana, Amato parla anche di credibilità della politica. Che potrebbe anche trovare ispirazione nelle culture popolari che hanno fatto la storia del paese.
Giuliano Amato, lei è stato protagonista di uno dei periodi più critici della nostra storia recente: quando l’Italia è in grave crisi si pensa sempre a lei…
Oggi che cosa vede?
Certo gli sprechi non mancano.
I liberali più granitici, alla Piero Ostellino, rimproverano a Berlusconi di avere fallito il compito per una sola, grande riforma mancata, quella fiscale. Lei che ne pensa?
È difficile fare una riforma fiscale nei momenti di magra, affidando ad essa la soluzione del problema del contenimento della spesa pubblica. Nei lunghi anni in cui Berlusconi ha avuto la responsabilità del governo ci sono stati momenti migliori di questo, ma non s’è visto nulla. Aggiungo che non solo abbiamo un problema di spesa pubblica che dobbiamo risolvere grattando l’osso, ma abbiamo anche un contesto europeo e mondiale molto più tempestoso e problematico di quello del ’92.
Parliamo di riformismo. La sinistra oggi in Italia può tornare ad avere una visione senza essere visionaria?
Nenni aveva il problema di passare dall’agitazione popolare al governo, e quindi dalla piazza allo stato. Questo non generò in qualche modo l’illusione che tutto si potesse fare attraverso lo stato?
Il Pd è capace di una politica realmente riformista?
Una riforma elettorale seria non sarebbe la prima cosa da fare per dare nuova credibilità alla classe politica?
Questo sistema elettorale è un congelatore di possibili mutamenti di topografia politica, che a questo punto forse sono inevitabili, profilandosi ormai, per ragioni anagrafiche, la fine del ciclo berlusconiano. Berlusconi è stato il leader che ha tenuto insieme l’attuale coalizione di centrodestra, ma almeno era un collante naturale. È vera stabilità quella prodotta da un sistema elettorale così artificiale e pieno di difetti così gravi, a cominciare da quello dei parlamentari non eletti ma nominati?
Ha detto «era»: nessun dubbio sulla fine del berlusconismo?
Perché non fare un governo tecnico?
Ci siamo fatti dettare la manovra da altri. Siamo un paese a sovranità limitata?
È proprio vero che solo la guerra è in grado di produrre migliori élites politiche, come ha scritto Galli della Loggia sul Corriere dell’altro giorno?
Che sono le qualità essenziali di una élite.
Un’élite cessa di esser tale quando letta una notizia di agenzia che dice che sette su dieci dei suoi elettori hanno storto il naso davanti a una riforma, si blocca.
L’Italia contemporanea è il frutto di una tradizione composita: cattolica, liberale, socialista, comunista. Ma quanto valgono oggi le «azioni» di questi «soci»?
In che senso, scusi?
Anche la Lega può entrare a far parte delle realtà popolari che hanno fatto la nostra storia?
Si spieghi, professore.
Ovvero?
(Federico Ferraù)
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