Avanti un altro. L’annunciato ricorso del governatore veneto Luca Zaia contro la copertura del decreto governativo sugli 80 euro utilizzando fondi regionali, produrrà il solo effetto di gravare con qualche altra pila di carta la già robusta giacenza di ricorsi parcheggiati nei depositi della Corte Costituzionale. Che sono diventati foresta: sono stati 198 nel 2012, erano già 66 a metà del 2013 (manca per ora il dato annuale); il che significa in media 16 al mese, come dire uno ogni due giorni, domeniche e festività comprese. L’Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie del Cnr ci spiega che ormai un terzo del contenzioso di cui deve occuparsi la Corte riguarda il rapporto tra Stato e Regioni: un numero troppo smisurato per pensare che siano tutti motivati, ma comunque sufficiente per appesantire il lavoro della Consulta, e comportare spreco di tempo, e pure di soldi.
La risposta al ricorso del Veneto non verrà in ogni caso domani, né dopodomani: il primo a saperlo è proprio il suo presidente. Il cui gesto appare molto più di propaganda che di sostanza; e d’altra parte, Zaia ha fatto da tempo un suo cavallo di battaglia della polemica sugli 80 euro, come ricorda chi l’ha sentito nel maggio scorso sul prato di Pontida. È la linea della Lega formato Salvini, che come metodo di ricostruzione sulle macerie lasciate dal crollo di Bossi e dei suoi sodali, ha scelto lo scontro frontale a 360 gradi col resto del mondo politico, a costo di attingere a robuste dosi di demagogia. Difficile convincere i 10 milioni di italiani che si sono ritrovati gli 80 euro in busta-paga che si tratta di un bluff; ma quel che contava per Bossi nelle sue celebri sparate estive, e quel che conta per i suoi successori, è evidentemente guadagnare un po’ di titoli di giornali e un po’ di ribalta mediatica. E su questo, Zaia ha portato sicuramente a casa un risultato immediato, ma anche uno di prospettiva: l’importante, al di là dei singoli contenuti, è far passare il messaggio che la Lega non ci sta a prescindere.
Nello specifico, la critica di Zaia non è infondata; ma non la si può circoscrivere a una questione singola. Il nodo vero è la corretta gestione della spesa pubblica tra strutture centrali e autonomie locali: problema di vecchissima data, sensibilmente peggiorato negli ultimi dieci-dodici anni. Per buona parte dei quali, occorre ricordare, la Lega ha fatto parte della maggioranza e ha occupato ruoli significativi nel governo: perché non ha portato a casa nulla che modificasse lo squilibrio tra centro e periferia? Perché ha incassato senza battere ciglio i generosi provvedimenti dell’esecutivo a guida Berlusconi in favore di quelle Regioni sprecone, dal Lazio alla Campania, dalla Calabria alla Sicilia, contro cui oggi Zaia punta il dito?
Perché ha perso tanti voti anche al nord: solo per le allegre gestioni della corte dei miracoli di Bossi, o anche e soprattutto per la sua subalternità a una linea politica che di ogni particella anche minima di federalismo si è fatta un baffo? E quanto alla contrapposizione tra Roma ladrona e le Regioni, dice nulla il fatto che attualmente ben 17 consigli regionali su 20 risultano inquisiti?
La linea di Zaia, in risposta a tutto ciò, è di rivendicare l’indipendenza del Veneto: pienamente sostenuto in ciò da quel Salvini che, Bossi imperante, si associava ai diktat del Capo che stroncava regolarmente ogni velleità al riguardo dei leghisti veneti. Ma chi garantisce che gli eredi della Serenissima siano in grado di ripetere i fasti di quest’ultima, e soprattutto la sua severità nel reprimere abusi, corruzioni e sprechi? Dal caso Maltauro sull’Expo a quello Mazzacurati sul Mose, le cronache degli ultimi mesi hanno dimostrato ad abbondanza i misfatti di un perverso intreccio tra corrotti e corruttori, politica ed economia, che è costato ai cittadini veneti ben di più delle quote cui Renzi avrebbe attinto per finanziare gli 80 euro famosi. Su cui oggi Zaia costruisce una piccola, mediocre battaglia; anziché impegnarsi con tutte le forze sane del Paese per dichiarare guerra agli sprechi della spesa pubblica. Ai quali ha portato il proprio contributo anche qualche leghista di troppo.