SCENARIO/ Formica: l’ingordigia di Renzi può costare una crisi di governo

- int. Rino Formica

Per RINO FORMICA il controllo della Corte costituzionale è indispensabile a Renzi per realizzare il suo progetto di totale centralizzazione e verticalizzazione del potere

roma_quirinale_giustiziaR439 Il Quirinale visto dalla Consulta (Infophoto)

“Il controllo della Corte costituzionale è indispensabile a Matteo Renzi per realizzare il suo progetto di totale centralizzazione e verticalizzazione del potere. Basta però un minimo intoppo per fare saltare il governo, e la parte più preparata a sostituire il premier non è certo l’M5s bensì il mondo politico cattolico”. Ad affermarlo è Rino Formica, ex ministro socialista del Lavoro e per due volte ministro delle Finanze. L’ennesima fumata nera in parlamento sull’elezione dei giudizi costituzionali ha messo il governo di fronte al fatto che esiste un problema politico. Anche se in realtà secondo alcuni osservatori il vero intoppo nascerebbe dal fatto che Renzi vuole dei giudici costituzionali che non siano pregiudizialmente contro l’Italicum.

Che cosa c’è dietro l’inconcludenza del voto sui giudici costituzionali?

Ci saranno tanti elementi. Al fondo c’è però il fatto che quando si sceglie la strada della centralizzazione e della verticalizzazione del potere, la Corte costituzionale è uno degli strumenti il cui controllo è essenziale. La libertà della Consulta incide infatti sul disegno del premier. La Corte costituzionale crea una pluralità dei poteri che è incompatibile con la loro concentrazione.

In che cosa consiste questo disegno?

Consiste nella volontà di piegare sia la rappresentanza locale sia quella centrale, nonché di limitare i poteri del parlamento e dello stesso governo, tanto è vero che sono scomparse le autonomie dei ministri. E’ da questi elementi che si vede la vera natura di un governo centralistico e personalistico come quello di Renzi.

E’ da qui che si spiega anche quanto sta avvenendo in parlamento?

Il parlamento è stato schiavizzato dal governo e soprattutto dal comportamento padronale all’interno del Pd. Camera e Senato sono state umiliate più volte con il voto di fiducia o con la minaccia del loro scioglimento. Questo Parlamento quindi, quando si è trovato a disporre di un voto segreto e a maggioranza qualificata, si è ribellato cercando di rivalersi su un governo dispotico ed espropriativo.

Secondo l’agenzia Reuters “la politica è scomparsa dal dibattito pubblico”. Chi l’ha uccisa?

La politica non è scomparsa: a essere venuti meno sono la partecipazione democratica e il pluralismo di voci. Ma la politica accentrata, dispotica e autocratica c’è ed è impersonata da Renzi.

E’ venuto meno il dibattito democratico?

Noi abbiamo visto come Renzi ha espropriato gli organi rappresentativi, ma lo stesso è avvenuto anche con i contropoteri. Il Csm è stato domato, e lo stesso è avvenuto con informazione, sistema economico, sistema finanziario e Rai. Il governo si è impossessato degli strumenti dell’economia pubblica, dalle FS alle Poste. La stessa risistemazione del sistema informativo è emblematica del cambio di orientamento.

Sì riferisce alla scelta di Calabresi a Repubblica e Molinari alla Stampa?

Sì. Ma del resto è già in atto una forma di autocensura.

I nuovi direttori sono contigui a Renzi?

Non li definirei contigui, ma sono comunque persone non disponibili a una lotta politica. A spaventarmi non è l’arrivo di Calabresi, ma il modo in cui è stato domato perfino Eugenio Scalfari, in particolare per le giustificazioni che quest’ultimo ha fornito sulla sua acquiescenza e sulla scelta di non abbandonare Repubblica.

 

Secondo lei Renzi su che cosa rischia di più? Sulla politica internazionale, economica o all’interno del parlamento?

Sono tutti fronti rispetto a cui una qualsiasi circostanza eccezionale può mettere in crisi il governo. La parte più preparata alla sostituzione di Renzi è comunque il mondo politico cattolico, che ha bisogno del pluralismo e della molteplicità delle voci come dell’ossigeno. Nell’ultimo scrutinio sui giudici costituzionali non è casuale che l’area più combattiva e più ribelle, che ha veramente messo in crisi il disegno di Renzi, non siano stati i Cinque Stelle, quanto i 100 parlamentari che hanno votato per Gaetano Piepoli. Il deputato centrista di Per l’Italia è espressione del cattolicesimo democratico.

 

Il cattolicesimo democratico come si situa rispetto agli attuali partiti?

Tra i compiti del mondo cattolico in Italia c’è quello di garantire che la Chiesa in Italia abbia un interlocutore politico che sia tollerante e aperto rispetto alla pluralità delle voci. Questo è ancora più importante oggi rispetto al passato, quando la maggioranza del Paese era composta da cattolici. Ma anche in passato in cattolici hanno esercitato questo ruolo.

 

A che cosa si riferisce?

Non è un caso che il 25 luglio 1943 cadde il governo Mussolini, e quello stesso giorno fu stilato il manifesto di Camaldoli. Nell’agosto ’43 l’Azione Cattolica andò da Badoglio e offrì la sostituzione del personale dirigente fascista della pubblica amministrazione con quello cattolico. Poi non se ne fece nulla perché a settembre l’Italia si spaccò in due, ma resta il dato di fatto: la Chiesa era già pronta a fornire alla società italiana il personale di direzione politico-amministrativo.

 

(Pietro Vernizzi)





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