RETROSCENA/ Legge elettorale, ecco il patto Renzi-Berlusconi
E se Berlusconi dicesse a parole di volere il premio di coalizione invece che alla lista, ma in realtà non lo volesse affatto? Ecco la sua vera strategia (sua e di Renzi). DANIELE MARCHETTI

Sulla legge elettorale non c’è appello che tenga. Anche l’ultimo pressante invito del presidente Mattarella al Parlamento per un’approvazione sollecita della legge più importante per una democrazia reiterato in occasione della cerimonia del 25 aprile, è destinato a divenire parte del gioco delle parti. Scena, per quanto prestigiosa e autorevole, di una pantomima quotidiana assai ben orchestrata ed abilmente diretta.
Così nella settimana in cui Renzi, tornato capo indiscusso del Pd, ha dichiarato di non aspirare ad un’intesa con gli scissionisti di D’Alema accettando, eventualmente, un accordo elettorale con Pisapia (il quale, da par suo, ha escluso ogni alleanza con il Pd senza il presidente della Fondazione Italianieuropei), Berlusconi, da “segugio” qual è, nel mostrarsi disponibile a riaprire la trattativa con il Nazareno (dalla quale, realisticamente, non sembra essersi mai allontanato), ha rilanciato quel premio di governabilità alla coalizione che Grillo vede come il fumo negli occhi.
Il trucco c’è e si vede! Il Cavaliere che non pensa affatto ad un nuovo asse con Salvini e la sua Lega — solo il pensiero gli provoca un’orticaria insopportabile —, usa la proposta di Franceschini (il premio di maggioranza alla coalizione) con due precisi obiettivi: scongiurare ogni possibile intesa Renzi-Grillo e creare le condizioni per tornare decisivo dopo il voto.
Condizioni presto dette: proporzionale puro senza premio di maggioranza (per portare all’incasso il consenso vero) e capilista bloccati (per evitare sorprese). Ipotesi assai stuzzicante anche per l’ex sindaco che, senza colpo ferire, potrebbe tornare a Palazzo Chigi come capo di una coalizione ampia d’ispirazione centrista-pentapartita di cui, con il tempo e l’ok di Arcore, potrebbe incoronarsi leader.
Un risultato che per essere condotto in porto abbisogna di un lavorio di “distrazione di massa” (da cui l’apparente inestricabile intrigo) ma anche dell’assenso dei gruppi parlamentari più piccoli ma utilissimi per il voto in aula a cui potrebbe essere, ragionevolmente, concessa una soglia di sopravvivenza del 2-3 per cento.
Soglia di sbarramento che, alla fine, potrebbe lusingare anche agli scissionisti bersaniani, per niente sicuri di una buona affermazione elettorale.
Nella Babele del post-Italicum la solita regia occulta della convenienza reciproca la farà — ancora una volta — da padrone.
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