Angela Merkel annunciò la sua candidatura a un quarto mandato di cancelliere dieci mesi prima del voto politico tedesco di un anno fa. Donald Trump era appena stato eletto alla Casa Bianca poco dopo il referendum Brexit e la supercancelliera si era ritrovata un po’ meno “super”: certamente alle prese con uno scacchiere euro-globale molto più problematico del previsto. La mossa ebbe l’ovvio effetto di evitare alla Merkel — e alla Germania — un pericoloso “semestre bianco” e diede sicuramente supporto, nei mesi successivi, sia ai partiti europeisti olandesi nell’urna, sia soprattutto ad Emmanuel Macron, nel duello finale con Marine Le Pen per la presidenza francese. Non aiutò invece i governi italiani di Matteo Renzi, alla vigilia del referendum costituzionale, e di Paolo Gentiloni verso il voto del 4 marzo; né tanto meno Silvio Berlusconi, frettolosamente riabilitato nel Ppe proprio su impulso di Berlino. Il gioco d’anticipo del novembre 2016, in ogni caso, mancò nettamente l’obiettivo principale: le elezioni tedesche del settembre 2017, da cui la Merkel uscì virtualmente sconfitta. Dopo un “semestre grigio”, è oggi alla guida di una “piccola coalizione” con la Spd, ma assediata su tutti i lati: dentro la Germania e fuori.
E’ stata la stessa Merkel, comunque, a dare via libera ufficiale: Manfred Weber sarà lo spitzenkandidat per le europee del maggio 2019, che si annunciano come resa dei conti fra le forze politiche “legittimiste Ue” e i nuovi contendenti populisti.
Già da giorni l’identikit di Weber — rampante politico bavarese della Csu — e i tempi e modi della sua discesa in campo stanno interrogando gli analisti. Weber è attualmente il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo e in quanto tale viene candidato a presidente della Commissione Ue, a succedere al lussemburghese Jean Claude Juncker. Quindi: Merkel rivendica alla Germania e al Ppe la guida della Ue, verso una fase probabile di revisione profonda del Trattato di Mastricht.
Con questa scelta, l’invecchiata “cancelliera d’Europa” mostra di accettare in pieno il rischio dello scrutinio democratico: Weber sarà il numero uno a Bruxelles se lui e gli altri leader del Ppe vinceranno le elezioni e solo un successo elettorale potrà legittimare il nuovo esecutivo Ue a guidare riforme europee vantando un doppio passaporto (tedesco e “popolare”). E’ questo, con evidenza, ad aver suggerito a Merkel di candidare un democristiano moderato, nativo della “pancia bavarese” al centro dell’Europa continentale. Un politico che all’interno del Ppe dialoga senza difficoltà con il leader ungherese Viktor Orbán e con altre forze sovraniste. Weber, non da ultimo, non avrebbe difficoltà a pilotare un eventuale cartello elettorale con la Lega italiana: tanto più se dovesse maturare la fusione con Fi e la creazione in Italia di un nuovo partito popolare e moderato.
Non c’è dubbio, altresì, che sulla strada di Bruxelles, Weber dovrà misurarsi prima in un’altra contesa elettorale incerta: quella in programma nel prossimo mese di ottobre nella stessa Baviera. Qui la Csu (siamese della Cdu) è reduce dalle inquietudini estive sorte fra il leader Horst Seehofer, ministro dell’Interno nel governo Merkel, e la stessa cancelliera sul bollente dossier migranti. Ora Weber sembra ereditare tutti gli onori e tutti gli oneri di quello scontro: da un lato la sua candidatura è un’oggettiva concessione alla Csu, che sembrava addirittura incamminata sulla via di una clamorosa “secessione” dalla Cdu. Ma sull’altro versante Weber deve dimostrare che un “popolare tedesco” riesce a essere vincente in Europa, tenendo agganciati un Orbán o un Salvini senza sacrificare le basi dell’Europa istituzionale.
Un terzo e non meno significativo dato del nuovo “gioco d’anticipo” della Merkel è l’apparente rinuncia tedesca alla pretesa di designare il successore di Mario Draghi alle Bce (la decisione verrà presa a valle del voto europeo, in contemporanea con la formazione del nuovo esecutivo di Bruxelles). La “prima mossa” in realtà disegna solo uno scenario: è evidente che se Weber non avesse i numeri per diventare “premier Ue” tutti i calcoli politici verrebbero azzerati. Ma non è difficile intravvedere gli esiti se gli sviluppi dovessero essere quelli previsti: prima scelta per la Bce sarebbe un francese, a maggior ragione quando Macron si accinge ad assumere la guida dello schieramento antagonista al Ppe (il Pse, a sua volta in trasformazione in “fronte anti-populista”). Se già gli ambienti finanziari rilanciano il nome di Christine Lagarde — attuale direttore generale del Fmi, da sempre in ottimi rapporti con gli Usa — si consolida quindi la prospettiva di un tentativo di gestione elastica dell’ondata populista: che verrebbe in parte “assorbita” dal Ppe a trazione tedesca e in parte contrastata dal Pse a trazione francese.