Polemica Segre-Roccella su fascismo e antisemitismo: anche in URSS (e poi in Russia) gli ebrei sono stati presi di mira eccome

Ho letto con dispiacere della polemica nata dopo le dichiarazioni di Liliana Segre a proposito di alcune parole dette dal ministro della Famiglia Eugenia Roccella in un convegno organizzato dall’UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane). Il ministro avrebbe accennato a “gite ad Auschwitz incoraggiate perché insegnavano che l’antisemitismo era collocato nell’area storica del fascismo”.



La senatrice Segre ha visto nella frase un modo per sminuire la responsabilità del fascismo nella persecuzione degli ebrei. Cosa che mi sembra insostenibile, soprattutto dopo la promulgazione delle leggi razziali del 1938.

Io stesso sono stato tra quegli insegnanti che hanno portato i propri ragazzi ad Auschwitz e certo non per sminuire le responsabilità del fascismo. Tuttavia osservavo che ad Auschwitz, che in verità si chiama Oswiecim e si trova in Polonia, tra i cittadini che vivevano attorno al campo, anche tenendo conto del terrore imposto dai nazisti, non c’era stato un atteggiamento molto diverso da quello di coloro che vivevano vicino ai campi di sterminio situati in Germania.



Inoltre, non potevo non osservare come tra i cognomi di alcuni aguzzini ce ne fossero alcuni ucraini, di quegli ucraini che decisero di collaborare con l’occupante nazista.

D’altra parte, la frase del ministro Roccella mi ha ricordato che l’antisemitismo non si può collocare, anche in tempi moderni o addirittura contemporanei, esclusivamente nell’area storica del fascismo, così mi sono ricordato di un seminario tenutosi qualche anno fa presso la veneranda Biblioteca Ambrosiana, sul tema Gli ebrei in Asia. In quell’occasione feci una relazione sulla discriminazione degli ebrei in Unione Sovietica.



Precisato che da quelle parti gli ebrei erano visti non tanto come appartenenti a una religione, ma ad una nazionalità (del resto anche oggi diversi ebrei si definiscono atei), le loro disgrazie nacquero dal fatto che, dopo il periodo rivoluzionario, quando essi sperarono di essere liberati dalla condizione di cittadini di secondo livello, presto la situazione mutò.

In particolare, le leggi antireligiose, che di per sé colpivano tutte le religioni, costrinsero innanzitutto molti rabbini e credenti ad emigrare, soprattutto negli Stati Uniti.

Vladimir Putin al Valdai International Discussion Club (Foto: ANSA-EPA/MIKHAIL METZEL)

Lenin da una parte condannava i pogrom commessi dall’Armata bianca, ma dall’altra, come possiamo vedere dalle direttive proposte nell’autunno del 1919 per il Partito comunista dell’Ucraina, prescriveva: “Gli ebrei abitanti nelle città dell’Ucraina devono essere presi con i guanti di pelle di riccio,  e inviati a combattere in prima linea. E non dovrebbero essere ammessi a responsabilità amministrative di rilievo, tranne una percentuale trascurabile, in casi eccezionali e sotto il nostro controllo”.

Stalin, poi, nella lotta contro Trotsky, non gli risparmiò neanche l’accusa di essere di origine ebraica e di difendere gli interessi del suo popolo. Krusciov, che conosceva molto bene Stalin essendo stato suo collaboratore, sostenne poi che Stalin stesso aveva un’opinione molto negativa degli ebrei. Di fatto, essendo molti di loro impegnati nel commercio, caddero in disgrazia come i kulaki dopo la fine della NEP.

Seguirono poi, anche dopo la Seconda guerra mondiale, campagne antiebraiche che culminarono nel 1953 con l’accusa del complotto dei medici. Gli ebrei, grazie o a causa del rapporto con le altre comunità straniere, erano accusati di “cosmopolitismo”, cioè di considerarsi prima ebrei che cittadini sovietici e quindi potenziali quinte colonne delle potenze straniere.

Tralasciando molti documenti dell’epoca sovietica ricordati in quel seminario, veniamo ai giorni nostri. Dopo lo scioglimento dell’URSS e la successiva privatizzazione non solo delle case, ma anche delle industrie, possiamo trovare molti nomi ebrei tra i nuovi oligarchi, per lo più amici di Boris Elstin.

Non a caso, infatti, quale cittadino dell’Unione Sovietica, dove gli stipendi erano almeno formalmente tutti uguali, poteva avere le risorse per acquistare una fabbrica, magari un’industria di grandi dimensioni? “Forse” qualcuno che era collegato al grande capitale, magari quello di Wall Street, dove certo non mancavano gli ebrei.

Così non è un caso che una parte della fortuna del successore di Elstin, Vladimir Putin, sia dovuta al prestigio che all’inizio si acquistò con la campagna contro gli oligarchi, quelli di Elstin, molti dei quali ebrei. Che poi Putin li abbia sostituiti con altri, suoi amici, è un altro discorso.

Rimase il “buon” Abramovich, quello che fu anche presidente del Chelsea, come specchietto per le allodole per chi intendeva accusare Putin di essere antisemita.

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