Chi assicurerà ora i partner europei che Macron voglia sospendere le regole Ue non solo per riarmarsi, ma anche per pagare le pensioni?
Ancora negli ultimi giorni l’agenda Draghi per la competitività Ue è stata illuminata da alcuni grandi media internazionali sull’onda lunga del rilancio avviato al Meeting di Rimini dallo stesso ex presidente Bce.
In tutti i suoi ruoli Draghi ha sempre avuto il supporter europeo più importante nel presidente francese Emmanuel Macron, il quale – non è un mistero – avrebbe visto di buon occhio l’approdo dell’ex premier italiano al vertice della Commissione Ue. Il “Trattato del Quirinale” – siglato da Macron a Roma nel 2021 assieme a Draghi premier, sotto lo sguardo di Sergio Mattarella – aveva anche questa funzione di alto lobbismo istituzionale.
Vista dall’Eliseo, l’opzione Draghi per la Ue si è sempre collocata in due grandi prospettive. La prima era il rafforzamento di un un asse europeo fra Parigi e Roma laddove si andava progressivamente indebolendo lo storico architrave franco-tedesco.
Su un terreno più strettamente politico-finanziario, l’agenda Draghi ha previsto fin dalla sua prima stesura l’introduzione definitiva degli eurobond nella governance Ue, dopo il test del Recovery Plan.
Il favore di Macron per il passaggio all’indebitamento comunitario – sempre tabù per Berlino, al pari del rilancio del nucleare – era aperto già nell’immediato post-Covid (fu Parigi e ventilare perfino l’ipotesi di eurobond emessi in consorzio da una dozzina di Paesi Ue senza la Germania).
È un contesto che non sembra mutato oggi, allorché l’Eliseo è il “volenteroso” portabandiera del riarmo europeo, che avverrebbe sostanzialmente a debito. Un’idea che Draghi non ha avuto esitazioni a innestare in corsa nella sua agenda, miscelandola nelle originarie finalità strategiche (irrobustimento industriale, transizione energetica e digitale).
L’altra sera, tuttavia, il settimo “governo Macron” in otto anni – presieduto da Sébastien Lecornu – si è impegnato a sospendere la riforma delle pensioni pur di ottenere la decisiva fiducia dei socialisti all’Assemblea nazionale. È una mossa che ha fatto alzare d’imbarazzo le sopracciglia di gran parte degli osservatori, interni e internazionali. Macron – per finalità di pura sopravvivenza personale all’Eliseo – è parso respingere platealmente l’esigenza di un risanamento vigoroso delle finanze pubbliche francesi, in netta e progressiva crisi.

Il dietrofront su una riforma pensionistica di cui invece mercati e Ue attendevano la conferma definitiva è il contrario dell’europeismo finanziario cementato nei parametri di Maastricht. Quelli che – alla vigilia del Covid – Macron voleva aggiustare in un direttorio ristretto (e basicamente rigorista) con la sola cancelliera tedesca Angela Merkel.
Nessuno nel frattempo dimentica che Draghi stesso – come presidente designato della Bce – co-firmò nel 2011, con il presidente (francese) uscente Jean-Claude Trichet, una draconiana agenda di austerity per l’Italia, imperniata su una dura riforma previdenziale.
Dall’Eurotower, Draghi ha poi accettato l’iperdraconiana agenda franco-tedesca imposta alla Grecia, sebbene abbia in seguito adottato una politica monetaria espansiva – in scia alla Fed – difendendola dalla contrarietà della Bundesbank (ma sempre con l’appoggio della Banca di Francia).
In attesa di approfondire l’atteggiamento della Commissione Ue (a guida tedesca) e della Bce (a guida francese) verso il “New Deal” macroniano, sarà interessante anche osservare i giochi di ruolo in quello che – sulla carta – appare un “divorzio” fra Draghi e Macron: di idee economiche prima che di opzioni politiche.
Lecornu – presentando una manovra fragile e chiaramente inadeguata alla crisi francese – ha però già preannunciato che non intende ridimensionare la grandeur della strategia di riarmo delineata dal presidente. Su questo sfondo non è imprevedibile un pressing francese per tenere queste spese fuori dalle griglie dei parametri Ue (ipotesi forse non sgradita in partenza neppure a Germania e Italia, soprattutto se motivata dalla crisi francese). E questa appare una condizione potenzialmente utile a far progredire il cantiere eurobond: questi resterebbero ancora “di scopo” (per il ReArm, dopo il Recovery post-Covid).
L’argomento contrario (un tempo i “falchi” tedeschi lo starebbero già cavalcando) è evidente: gli eurobond servirebbero nei fatti anche a pagare la pensione ai “giovani” francesi? E questo perché Macron si è rimangiato la sua riforma per compiacere le sinistre e fuggire dal confronto elettorale con la destra lepenista? Il cancelliere tedesco (popolare) Friedrich Merz potrebbe raccontarlo al Bundestag, dove un parlamentare su cinque è stato eletto pochi mesi fa da AfD?
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