«A 25 anni di Mani pulite, l’Italia è ancora più corrotta»: l’ex giudice Gherardo Colombo è l’unico del famoso “Pool” ad ammettere che la “rivoluzione italiana” da cui è nata la Seconda Repubblica non è nient’altro che un fallimento e che il “giustizialismo manettaro” figlio dell’epoca ha portato molto più “marcio” nella politica di quanto già non ve ne fosse durante la Prima Repubblica. Con una lunga e lucida analisi sul Corriere della Sera, il professore Angelo Panebianco ripercorre i momenti e le date per cui ha senso oggi parlare di una Seconda Repubblica tutt’altro che “santa” rispetto agli scandali precedenti sfociati in Tangentopoli all’inizio degli Anni Novanta.
«Se facevi notare che l’anomalia Berlusconi era a sua volta il frutto di un’altra anomalia, ossia la distruzione violenta, per via giudiziaria, di un’intera classe politica (quella della Prima Repubblica), ti davano subito del berlusconiano. C’era insomma un clima di evidente isteria», spiega Panebianco andando contro quegli stessi giornali e «poteri marci» che ormai 30 anni fa soffiavano sul fuoco dell’indignazione sociale e della richiesta di “epurazione mediatica” per i politici della Prima Repubblica. Craxi e poi Berlusconi hanno incarnato il “Male” per diversi anni, ritenuti responsabili quasi unici di quel fallimento corrotto dei “vecchi” e “nuovi” partiti: ma è davvero così?
IL FALLIMENTO DELLA SECONDA REPUBBLICA
Dagospia ripercorre assieme a Panebianco i punti cruciali di questa “rivoluzione fallita”, scardinando le idiosincrasie della sinistra italiana che ritengono di essere immuni dai problemi che hanno afflitto la Prima Repubblica. «Ma l’oblio non può calare, voltandosi dall’altra parte, neppure sul ruolo parziale, disumano e di supplenza ai giudici – tutto in nome e per conto dei Poteri marci, ovviamente -, sulla parte in commedia avuto dai media nel linciaggio senza uno straccio di processo di una intera classe politica (e dirigenziale)», si legge su Dagospia, prendendo a spunto il saggio “Il diritto penale totale” del giurista Filippo Sgubbi in merito al “teorema” del Pool di Di Pietro, Davigo e Colombo. «Il processo volto non ad accertare un fatto storico da ricondurre a una norma di legge, bensì a creare il fatto-reato»: i danni provocati in quei pochi anni di Tangentopoli sono ancora incalcolabili, tanto per la rispettabilità nella politica quanto nella magistratura che oggi si può “intuire” dalle recenti indagini sul Csm. I fatti elencati sono tantissimi e spesso trovano legami indissolubili tra giudici e giornali: su tutti, Repubblica, l’Espresso e il Corriere della Sera, considerati in molti frangenti “filo-sinistra” nel periodo buio degli Anni di Piombo. Dal Caso Moro al “siluramento” di Giovanni Leone, dalle Brigate Rosse a Mani Pulite: «Com’è accaduto per gli Anni di Piombo, anche sulla stagione di Mani pulite poco (o nulla) e con rare eccezioni, è stato esplorato sulla parte in commedia avuta dalla stampa in questi due passaggi controversi della nostra storia», spiegano ancora i colleghi di Dago, citando Panebianco. La gogna mediatica come unico criterio non ha portato buoni frutti e il periodo del Berlusconismo è emblematico per il costante ruolo di vittima-carnefice che ha assunto la figura di Silvio: «da Mieli a Santoro, quando il boia da nemico diventa finto-amico, Aldo Moro secondo il PCI di Veltroni era da vivo una sorta di tangentaro pericoloso, da morto invece uno statista lungimirante». Berlusconi è ancora vivo, ma quest’operazione è assai vicina all’essere realizzata per l’ennesima volta nella storia della politica italiana.