Perché il processo piazza Loggia non riparte: manca il giudice, visto che Spanò ha presentato richiesta di astensione. Le sue motivazioni e cosa succede ora
PROCESSO PIAZZA LOGGIA ANCORA FERMO
Il processo sulla strage di piazza Loggia non può ripartire perché serve un nuovo giudice: il presidente della Corte d’assise, Roberto Spanò, ha chiesto di essere sostituito. Una decisione verrà presa in tempi brevi, ha assicurato il presidente del tribunale Francesco Scati, ma di fatto il processo a Roberto Zorzi – accusato di essere uno degli esecutori della strage del ’74 a Brescia, che causò 8 morti e oltre cento feriti – rischia un nuovo intoppo, con il rischio di ulteriori ritardi in una vicenda aperta da decenni.
Il nodo si è aperto quando Spanò è passato, a luglio, al tribunale civile, ma il Consiglio superiore della magistratura (Csm) aveva comunque stabilito che poteva continuare a seguire alcuni processi penali, pur restando dei dubbi su quali fosse effettivamente legittimato a trattare.
PROCESSO PIAZZA LOGGIA, COSA SUCCEDE ORA
Il giudice, però, ha presentato un’istanza di astensione chiedendo di non presiedere più questo processo e altri quattro, proprio quando il processo per la strage stava per ripartire. Infatti, l’udienza era fissata per ieri ed è stata rinviata al 20 ottobre. Nel frattempo, Scati deve decidere se accettare o meno la richiesta di Spanò.
Come ricostruito da Bresciaoggi, se l’istanza venisse accolta, non si ripartirebbe da zero, visto che ci sono le registrazioni delle udienze, ma il nuovo presidente della Corte d’assise dovrebbe comunque studiare tutto il materiale precedente, con inevitabili ritardi. Le parti civili sono contrarie a ulteriori slittamenti, in attesa da anni che emerga solo la verità.
LE MOTIVAZIONI DI ROBERTO SPANÒ
Nella richiesta di astensione dai cinque processi a cui è stato applicato come presidente, Roberto Spanò si è soffermato proprio su quello della strage di piazza Loggia. Il problema di fondo è che non si ritiene più né legittimato né sereno a occuparsene, in quanto alcune dichiarazioni del vicepresidente del Csm hanno gettato «un’ombra di delegittimazione» sul suo operato e messo in discussione la sua capacità di svolgere funzioni penali e la credibilità del tribunale di Brescia.
Spanò ha ricordato di essere stato accusato da alcuni consiglieri del Csm di lentezza nell’avanzamento del processo, ma lui rivendica l’esatto opposto, avendo lavorato con impegno pur tra diverse difficoltà, come il carico di lavoro «ingestibile», la mancanza di supporti promessi dal Csm nonostante le sue richieste, la complessità del processo stesso.
Spanò, come riportato da Bresciaoggi, ha citato anche degli esempi concreti: 14 udienze celebrate, 3 su questioni preliminari e 8 dedicate a soli due testimoni per la complessità delle deposizioni. Ci sono state anche delle rinunce personali, visto che in due occasioni ha rifiutato di trasferirsi a Milano pur di portare a termine il processo di Brescia.
Ora, per motivi familiari, ha dovuto chiedere il trasferimento al settore civile, pur andando «contro» la sua esperienza di 38 anni nel penale. Quindi, non ci sono tempi compatibili per la gestione del processo ed è «incoerente» per lui che il Csm gli chieda di continuare nel settore penale, soprattutto su un processo di tale importanza e delicatezza.