PROROGA CIG E BLOCCO LICENZIAMENTI/ Ecco perché lo scambio Pd-M5s non aiuta il lavoro

- Giuliano Cazzola

Sembra che Pd e M5s abbiano raggiunto un accordo per prorogare, con il decreto di luglio, la Cig e il blocco dei licenziamenti

Operai_buca_strada_lapresse Lapresse

I quotidiani di ieri hanno anticipato la possibilità di una intesa nella maggioranza sui temi più urgenti del lavoro. Si profila – in sostanza – come già anticipato in quella stessa sede l’accoglimento delle richieste avanzate dai sindacati in occasione della loro partecipazione agli Stati generali dell’economia. Se così fosse le misure per il lavoro, su cui ci sarebbe accordo tra Pd e M5S, sarebbero l’unico risultato, almeno per ora, di giorni e giorni, di passerella nello scenario di Villa Doria Pamphilij. In vista di una riforma degli ammortizzatori sociali, da inserire nella Legge di bilancio 2021 (gli sherpa del Mes stanno studiano la proposta di Macron), a metà luglio il Governo varerebbe un decreto di proroga fino alla fine dell’anno della cassa integrazione e della moratoria sui licenziamenti. Vi potrebbe essere anche l’allungamento oltre metà agosto della sospensione dell’obbligo delle causali per il rinnovo dei contratti a termine, misura sostenuta dai dem, ma osteggiata dal M5S che continua a difendere quanto previsto dal c.d. decreto dignità e a limitare la durata delle deroghe. Sarebbe il caso, invece, di avere maggiore flessibilità, almeno quella indicata dal piano Colao che proponeva di riconoscere la sospensione dell’obbligo delle causali, trascorsi i primi 12 mesi, almeno per tutto il 2020.

Gli effetti del lockdown non si sono dileguati. I dipendenti a tempo determinato coinvolti dalle misure di contenimento del contagio sono poco meno di 600 mila unità, occupati in prevalenza nel settore terziario (419 mila). I lavoratori a tempo determinato occupati in imprese che operano in settori per i quali è stata disposta la sospensione risultano più di altri a rischio di perdita dell’occupazione. Inoltre, circa 225 mila dipendenti a termine interessati dalla restrizione sono occupati nel settore alberghiero e della ristorazione, dove il 92,9% delle imprese risulta sospeso e dove generalmente i rapporti di lavoro a termine hanno una durata estremamente ridotta. È verosimile che, in conseguenza del fermo delle attività, una quota non indifferente di contratti a termine non venga rinnovata. Anche perché è improbabile che, nell’attuale situazione, un’azienda si assuma l’onere di stabilizzare dei lavoratori con contratti a termine scaduti, anche se fossero accolte le proposte del Pd rivolte a promuovere la trasformazione a tempo indeterminato tramite i soliti incentivi (continuando a ignorare l’insegnamento di Marco Biagi il quale sosteneva che nessun incentivo economico sarebbe mai stato in grado di avere ragione di un disincentivo normativo).

Il Governo, prima di destinare altre risorse al finanziamento della Cig, deve attendere i nuovi dati sul “tiraggio” ovvero delle ore impiegate rispetto a quelle autorizzate. Come ha ricordato la sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi (Pd), “mancano quelli successivi al 4 maggio, data della prima riapertura delle attività produttive nel Paese, e quindi non possiamo stimare esattamente le risorse necessarie alla proroga. La copertura finanziaria stimata – aggiunge la sottosegretaria – è di circa 4 miliardi al mese, ma è calcolata sull’andamento di questo periodo di emergenza massima e quindi bisognerà capire se dopo le riaperture di molte fabbriche e attività ci sia stato un calo dell’utilizzo”. 

È un monitoraggio molto importante perché in sua assenza si corre il rischio di lasciare inutilizzati stanziamenti significativi, mentre se ne predispongono dei nuovi. Ad avviso di chi scrive, poi, il proseguire nella sospensione dei licenziamenti individuali per motivi economici e delle procedure previste per quelli collettivi è una scelta rischiosa da cui diventerà sempre più difficile tornare indietro. Soprattutto in un momento in cui la normativa introdotta nel Jobs Act è stata sottoposta a un nuovo giudizio di costituzionalità che conferma una precedente sentenza contro la certezza per i datori dei costi di un licenziamento (uno dei capisaldi del contratto a tutele crescenti). Viene, infatti, dichiarato illegittimo uno dei criteri fondamentali della c.d. tutela crescente ovvero l’automaticità della determinazione del risarcimento in rapporto agli anni di anzianità mentre è ri-attribuita al giudice la facoltà di stabilire l’ammontare dell’indennizzo sia pure all’interno di un minimo e un massimo, ma non determinabile attraverso criteri oggettivi come l’anzianità di servizio.





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