Non ha dubbi di sorta Fortunatus Nwachukwu, arcivescovo nigeriano di 61 anni, quando parla di “pulizia etnica” in corso nel suo Paese. Il monsignore opera nella diocesi di Umuahia, non lontano da Owo, dove è avvenuto il massacro di cattolici nelle scorse ore. Senza ricorrere a mezzi termini, ha affermato sulle colonne del quotidiano “Il Mattino”: “Siamo di fronte a un’altra, atroce tappa di un genocidio, che prende sempre più corpo. Ne ho parlato più volte a Ginevra e a tutti i livelli, a cominciare dal presidente del consiglio per i diritti umani. Non si può parlare né di un episodio e neppure di una crisi”.
Il termine giusto è quello di “pulizia etnica. È questo che si prepara nel mio Paese. Le responsabilità sono da tempo sotto gli occhi di tutti. Le scorrerie, i soprusi e le violenze dei Fulani hanno allargato il clima di terrore in un Paese già falcidiato dalla violenza terroristica e nel quale la Chiesa cattolica continua a pagare il prezzo più alto. È una Chiesa-martire”.
PULIZIA ETNICA IN NIGERIA “COLPA DEL GOVERNO”: PARLA MONSIGNOR NWACHUKWU
Al centro delle violenze ci sono rivendicazioni ben precise, ha detto monsignor Nwachukwu ai microfoni de “Il Mattino”: “La terra, i pascoli. E gli scellerati inviti fatti del governo in carica, perfino ai giovani pastori che praticavano il nomadismo fuori dalla Nigeria, a rientrare e occupare, anzi impadronirsi di territori che appartengono ad altre etnie. Il governo fa leva sui numeri. Ma i Fulani in tutta la Nigeria sono appena 30 milioni e con i rientri forzati arrivano a 40. Questa politica di espansione li ha resi invisi a tutti e sta creando le premesse per un bagno di sangue davvero di proporzioni enormi”.
Ecco perché non è esagerato parlare di pulizia etnica. Ma perché prendersela con una chiesa cattolica? Perché “non esiste in Nigeria una struttura più forte e articolata della Chiesa cattolica. E soprattutto nessun’altra è riconosciuta come punto di riferimento anche nel campo sociale. I cattolici sono da sempre nel mirino. Siamo
una Chiesa martire. I Fulani sono di religione musulmana, ma il pericolo che rappresentano non è dato da questa appartenenza. Non si tratta di una guerra di religione, poiché il terreno di convivenza è anche qui vasto”.