Gli ultimi dati Invalsi appena diffusi stimolano una riflessione sui cambiamenti necessari nel mondo della scuola
I dati delle prove di rendimento scolastico (misurate dal Ministero dell’istruzione e del merito) Invalsi sono deludenti e a pesare sul risultato finale dei giovani studenti sono le differenze di partenza.
D’altronde siamo ormai desolatamente rassegnati alle disparità date dagli svantaggi economici e sociali, dal trend migratorio, dalle dinamiche sessuali femminili e maschili in cui le studentesse sono scarse in matematica e gli studenti in italiano: la povertà educativa, e in questo caso formativa, è complicata da combattere, perché ha radici lontane nel tempo. E se la comparazione tra i dati odierni è fatta con i dati pre-Covid siamo sempre in affanno.
Al Sud si registrano miglioramenti risultati dell’investimento di grande risorse previste dal Pnrr e consola il fatto che i giovani sanno usare le nuove tecnologie in maniera consapevole a fronte di una valutazione ancora francamente assurda con termini “indecifrabili” come livello base, intermedio, superiore, ecc. Fa onore al ministro Valditara per il prossimo anno aver reintrodotto gli “antichi”, ma comprensibili voti per rendersi conto delle sufficienze o insufficienze del rendimento scolastico dei propri figli e nipoti.
La scuola dovrebbe essere anche uno spazio dove imparare, chiedere aiuto, trovarsi degli amici e purtroppo è vissuta oggi come un luogo inadeguato ad affrontare un percorso di conoscenze e di crescita. Dunque, crescono sempre di più sui territori le iniziative di alcune associazioni perlopiù sostenute da reti economiche di studio assistito, lezioni individuali e tutoraggio accessibili a tutti grazie all’impegno di volontari che mettono a disposizione tempo e conoscenze perché lo studio possa diventare occasione per la crescita della persona.
Fa riflettere la sentenza n. 2202/2025 del Consiglio di Stato contro la soppressione di un plesso scolastico che richiama tutti al rispetto del principio costituzionale della necessità di garantire il diritto allo studio nelle aree interne e meno accessibili, salvaguardando al contempo il tessuto sociale e culturale delle comunità montane.
La denatalità non si combatte chiudendo i plessi scolastici. La normativa di settore riconosce il valore particolare di questi contesti territoriali, nei quali le scuole non svolgono solo una funzione educativa, ma rappresentano un presidio di civiltà fondamentale per la coesione sociale e per il contrasto allo spopolamento, al degrado, abbandono e depauperamento di un patrimonio storico-artistico e antropologico-culturale inestimabile, sul quale affondano le radici stesse della nostra identità nazionale.
La battaglia per la salvaguardia dei presidi scolastici nelle aree interne è non solo e soltanto il primo fondamentale passo, anche per l’alto valore simbolico, di una riorganizzazione più complessiva che disegni un nuovo modello di sistema Paese, una visione organica capace finalmente di superare la perversa logica dell’applicazione pedissequa di freddi criteri di “razionalizzazione”, basata su numeri astratti, che sfocia da un lato in chiusure/accorpamenti di plessi strategici, dall’altro nelle mega istituzioni omnicomprensive dove, a dispetto della conclamata riduzione della popolazione scolastica, ritroviamo anche il fenomeno delle tanto detestate “classi pollaio”.
Una consapevolezza che coinvolge anche gli insegnanti di ogni ordine e grado a dedicare tempo e qualità a una vera e propria missione che è il nostro lavoro. Una riflessione per una governance democratica delle scuole e di valorizzazione della professione docente.
Che chiama i docenti a contribuire a trasformare il modello organizzativo della scuola, a rafforzare il suo sistema di governo; a promuovere un ambiente che valorizzi il merito e l’impegno di ciascun membro della comunità scolastica; a valorizzare la professione docente, inclusiva e collaborativa; a favorire strategie per lo sviluppo di una cultura di fiducia e di apertura alla collaborazione; a portare a scuole più resilienti, innovative e capaci di rispondere in modo efficace alle sfide educative contemporanee.
Un “pensiero a prova di futuro” sulla scuola, che sia nazionale, coinvolgente e capace anche di fare riferimento, valorizzandole, alle migliori pratiche sperimentate sui territori negli ultimi decenni.
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